Il servizio sanitario nazionale cammina sul filo del rasoio e mai come ora fatica a tenere in piedi un sistema che da un lato sfodera medici di primo piano con giovani promesse sottopagate e sfruttate come ‘missionari’ e dall’altro è sottoposto a tagli e sforbiciate neanche fosse un parrucchiere.

Compie 40 anni quest’anno da quel 1978, anno in cui il ministro alla Sanità Tina Anselmi, di Castelfranco Veneto, istituì l’ente principale incaricato di tutelare la salute dei cittadini italiani.  Un compleanno festeggiato in sordina, per l’intervento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha lanciato l’allarme sulla sostenibilità del modello italiano.

Liste di attesa estenuanti, macchinari obsoleti, posti letto che scarseggiano, riduzione dei medici con personale precario e i primari più ‘anziani’ d’Europa. Ma se tutto questo è riferito al comparto sanitario pubblico, dall’altro lato c’è un comparto privato, a cui ricorrono i cittadini più facoltosi, che veleggia alla grande.

Come riporta l’Espresso, stando ai dati pubblicati dal Consiglio dei ministri nel Documento di economia e finanza, nel 2018 il rapporto tra la spesa sanitaria e la ricchezza prodotta nel Paese, cioè il Pil, scenderà a quota 6,5 per cento, soglia limite indicata dall’Oms. Sotto, non è più possibile garantire un’assistenza di qualità e neppure l’accesso alle cure, con una conseguente riduzione dell’aspettativa di vita. L’emergenza continuerà nel 2019, quando si scenderà al 6,4 per cento, per poi sprofondare al 6,3 nel 2020. Numeri in caduta libera, che nemmeno la ripresa sembra essere in grado di fermare. Sale invece il numero di persone che rinunciano alle cure, che al momento si assesta al 6,5%, ma si stima la percentuale salirà a breve termine.

Impietosa è la fotografia scattata dal Cergas, il centro studi dell’Università Bocconi di Milano, che ogni anno tasta il polso alla salute nel nostro Paese. “Il nostro è il sistema che costa meno in assoluto: con pochi soldi riusciamo ad avere livelli qualitativi di cure intensive simili a Francia e Germania. Ma stiamo ponendo una pesante ipoteca sul futuro, perché manca tutto il resto. Dopo l’ospedale, non c’è assistenza per gli anziani non autosufficienti, che oggi sono 2,8 milioni e tra 10 anni saranno 3 e mezzo. Non avendo altro posto dove stare, il 60 per cento di quelle persone continua a entrare e uscire dagli ospedali, ingolfandoli. E il carico dell’invecchiamento è sulle spalle delle famiglie, che non possono reggere oltre”, spiega Francesco Longo, direttore del Cergas.

A.B.

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