“Ogni giorno chiudono 14 negozi di vicinato, 35mila in 9 anni. Il Governo fa il duro con i piccoli e abbassa la testa con i potenti dell’e-commerce, con il risultato che interi paesi e borghi montani sono ormai privi di negozi. Chi ha responsabilità politiche invece di assistere passivamente o peggio rendendosi colpevole di questo stillicidio tramite una tassazione esasperata, dovrebbe capire che questi esercizi che non rialzeranno più le serrande, rappresentano non solo un patrimonio economico che va in fumo, ma anche un presidio di socialità impossibile da rimpiazzare”.

E’ quanto dichiara l’on. Maria Cristina Caretta, deputata di Fratelli d’Italia, che non è la prima volta che interviene sul delicato argomento che riguarda la moria di negozi di vicinato.

La conferma di quanto la situazione sia allarmante arriva da una ricerca condotta da Confesercenti. Dallo studio emerge che nel corso del 2019 sono state  14 le chiusure al giorno da Nord a Sud:  in fumo qualcosa come tre miliardi di euro.

La prima causa, secondo l’associazione di categoria, è la contrazione dei consumi. Ogni famiglia spende in media 2.530 euro in meno all’anno rispetto al 2011. E questo non solo nelle aree più povere del Paese. Basti pensare che le famiglie lombarde hanno ridotto le loro uscite del 3,5 per cento, mentre quelle venete del 4,4 per cento. I settori più colpiti da questa «spending review» fatta in casa sono alimentari e bevande non alcoliche (-5,6%), vestiario e calzature (-3,3%), mobili ed elettrodomestici (-7,5%), libri (-19,3%), giornali (-40,1%). Ma non è solo la maggiore propensione al risparmio a mettere in ginocchio il piccolo commercio. Il dito è puntato anche contro burocrazia, grandi centri commerciali e e-commerce. «Uno dei settori più in sofferenza è l’abbigliamento conferma Mauro Bussoni, segretario di Confesercenti -. La concorrenza dell’online e degli outlet è troppo forte. Così come insostenibile è quella generata da iniziative di stampo americano, come il black friday. Ma questo non vuol dire che difendersi non sia possibile. Ci sono realtà di quartiere che ce l’hanno fatta, specializzandosi nella qualità, nella conoscenza dei prodotti e nei servizi per i clienti. E conquistando nicchie di mercato importanti».

La maggior parte dei piccoli commercianti soffre

Secondo Confesercenti, lo scorso anno solo il 18 per cento dei dettaglianti ha chiuso con un bilancio positivo. Mentre la metà il 48 per cento ha paura del futuro. Un timore giustificato, visto che negli ultimi nove anni sono spariti 13.031 negozi di abbigliamento, 628 librerie, 3.083 edicole, 4.115 ferramenta, 1.034 giocattolai e 3.357 botteghe specializzate in calzature e articoli in pelle.

A fronte di questa emorragia di affari la concorrenza delle multinazionali dello shopping virtuale cresce sempre di più: secondo l’Istat lo scorso anno le vendite dei piccoli negozi fisici sono diminuite dello 0,6 per cento, mentre quelle del commercio elettronico hanno fatto un balzo in avanti del 16 per cento, con una spesa complessiva di 31,6 miliardi di euro da parte dei clienti italiani. «Le botteghe artigiane vivono della spesa delle famiglie. Se i consumi calano, e le risorse vengono utilizzate quasi solo su internet o nei centri commerciali, il destino di queste realtà non può che essere la chiusura spiega Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre -. Se poi a questi problemi aggiungiamo il costante aumento delle tasse, soprattutto locali, la pressione della burocrazia e la crescita dei costi fissi è chiaro che la sopravvivenza diventa impossibile».

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