Gli aumenti record concessi alla dirigenza medica? «Bene per loro», afferma con amarezza Antonio De Palma, presidente del Nursing Up. Ma il vero problema è un altro: ancora una volta, quando si parla di contratto nazionale, chi resta indietro sono gli infermieri. E la politica, che aveva promesso di rimettere al centro la professione, dimostra puntualmente l’opposto.
La firma del Contratto collettivo nazionale 2022-2024 della dirigenza medica e sanitaria ha certificato un divario che non può più essere ignorato. Da una parte, aumenti che sfiorano i 530 euro lordi mensili, arretrati fino a 13.480 euro e un incremento del 7,27%. Incrementi definiti dallo stesso De Palma “sacrosanti e meritati”, ma che diventano difficili da digerire quando si osserva ciò che spetta agli infermieri: circa 100 euro netti al mese, nella migliore delle ipotesi. E, soprattutto, nemmeno per tutti.
Il contratto del comparto sanità 2022-2024, secondo i dati diffusi dall’Aran, prevede 172,70 euro lordi medi mensili per tredici mensilità. Un numero che, presentato così, sembra quasi importante, ma che non corrisponde affatto alla realtà delle buste paga. De Palma incalza: «L’Aran conteggia anche indennità che non spettano a tutti, e usa medie che non rispecchiano la condizione reale della maggioranza degli infermieri». È il caso, ad esempio, delle indennità di pronto soccorso, delle indennità legate all’emergenza o di altre voci economiche destinate solo a particolari reparti. Eppure queste somme vengono inserite nel calcolo complessivo, contribuendo a far apparire il contratto più generoso di quanto sia davvero. Il risultato è evidente: un infermiere di un reparto di chirurgia, di medicina, di otorino, di oculistica o un semplice infermiere ambulatoriale non vedrà nemmeno un euro di quelle indennità, ma sulla carta è come se le percepisse.
Secondo il Nursing Up, questa distorsione non è nuova: «I numeri miracolosi non reggono alla prova dei fatti. E lo sanno benissimo migliaia di professionisti che da anni vedono aumentare responsabilità, carichi di lavoro e rischi, mentre gli stipendi restano tra i più bassi dell’Europa occidentale». Gli infermieri italiani guadagnano infatti tra 1.450 e 1.750 euro netti al mese, una retribuzione che li colloca ai livelli dei Paesi dell’Est Europa. Una realtà umiliante per quella che è, nei fatti, la categoria che tiene in piedi il Servizio sanitario nazionale.
Il divario economico tra le due categorie è ancora più stridente se si considera il percorso degli ultimi anni. La dirigenza medica ha ottenuto aumenti strutturali importanti, come il +27% dell’indennità di esclusività previsto dalle ultime leggi di bilancio, oltre a riconoscimenti contrattuali significativi. Per gli infermieri, invece, nulla di comparabile. I loro stipendi restano fermi, e le promesse della politica restano parole vuote.
Intanto la situazione sul campo peggiora. Mancano, secondo le stime, 175.000 infermieri per raggiungere gli standard europei. I turni diventano sempre più insostenibili, cresce l’esodo verso l’estero, aumentano le dimissioni volontarie. E mentre questo accade, la politica continua a parlare di “rilancio della professione infermieristica”, come se fosse sufficiente ripetere lo slogan per cambiare la realtà.
De Palma lo dice chiaramente: «Il contratto della dirigenza dimostra che, quando si vuole, le risorse si trovano. Il punto è che non si vogliono investire sugli infermieri». E aggiunge una riflessione che dovrebbe far tremare i palazzi romani: «Noi non chiediamo privilegi. Chiediamo giustizia, coerenza e un riconoscimento economico e professionale dovuto. Continuare a ignorare questo nodo significa far affondare il Servizio sanitario nazionale».
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