di Fabrizio Carta

Qualche giorno fa il governo Draghi ha presentato il nuovo piano italiano per i fondi del recovery, cancellando il cashback, cavallo di battaglia dello scorso governo e del suo primo ministro.

Dopo la ben nota sconfitta della povertà, la nuova élite di governo prospettava all’orizzonte della nostra nazione una nuova era senza più evasori fiscali e senza più contanti, anzi, un’era “cashless”, ché in inglese fa più intellettuale, lanciando il nuovo programma con una massiccia campagna pubblicitaria e spot martellanti.

Invece, poi, succede tutto così, che ad un tratto, senza nessun annuncio in diretta facebook, arriva un Draghi qualunque a spezzare i nostri sogni all’improvviso, crashando i nostri progetti futuri di una vita senza toccare il “vil danaro”, con buona pace di tutti i virus.

Come oramai abbiamo imparato, il cashback, è una forma di bonus che premia chi effettua i pagamenti in moneta elettronica restituendo il 10% della spesa, con un tetto massimo di 1500 euro ogni sei mesi, con un minimo di 50 transazioni. In combinata con il nostro cashback viaggia il supercashback, un premio da 3 mila euro all’anno per i primi 100 mila “classificati” della graduatoria cashback.

In pratica, pare che il progetto cashback, parte integrante del più ampio Piano Italia Cashless, non abbia raggiunto i risultati sperati, nonostante l’amore e l’impegno in esso profuso, al modico prezzo di 1,5 miliardi ogni sei mesi.

E se adesso volete sapere cos’è che non ha funzionato nel programma cashback, la risposta è: “quasi nulla”.

La procedura si è rivelata troppo complessa: bisognava scaricare l’app, entrare con lo spid, che però bisogna andare in posta, e poi dobbiamo fornire tutti i nostri dati personali, indicare lo strumento di pagamento elettronico utilizzato e infine l’IBAN per i rimborsi. Così, molti hanno desistito e gli italiani che hanno aderito al cashback sono oggi poco più di sette milioni, circa il 10%, e molti di quelli che hanno scaricato l’app nemmeno la usano.

Dall’altra parte della barricata, come ampiamente previsto, molti commercianti si sono rifiutati di aderire all’iniziativa. Come abbiamo denunciato anche noi fin dall’introduzione del programma, i negozianti hanno dovuto sostenere in pieno covid la spesa per l’adeguamento del software del registratore telematico per renderlo compatibile con i software dell’agenzia delle entrate, il costo dell’installazione del POS per chi non ce l’aveva, a cui si aggiungono i canoni mensili, i costi fissi sulle transazioni e le commissioni in percentuale sul pagamento. È naturale che qualcuno si sia rifiutato, o semplicemente non ne aveva da spendere, soprattutto in questo modo.

Il costo dell’operazione, ben cinque miliardi, non è stato assolutamente ripagato dai risultati in termini di maggiori consumi e contrasto all’evasione. Gli effetti positivi vengono considerati irrilevanti dagli esperti. Come ha dichiarato Alberto Brambilla, presidente del centro studi e Ricerche Itinerari previdenziali, più del 50% delle transazioni oggi coperte dal cashback, già venivano effettuate con moneta elettronica, quindi “oltre la metà dei soldi sono regalati”.

A parte quelli già noti, il cashback inoltre non ha trovato molti sostenitori in nessuna delle sfere politiche ed istituzionali italiane ed europee. La Corte Conti, nella memoria sul Documento di

economia e finanza 2021 presentata alle Commissioni congiunte Bilancio di Senato e Camera, evidenzia che servirebbe una «migliore finalizzazione e articolazione» di misure come il cashback e la lotteria degli scontrini, in quanto creano dispersione infruttuosa di denaro pubblico, chiedendo quantomeno una riformulazione dei progetti.

Anche la Banca Centrale Europea, vecchio amore di Mario Draghi, ha denunciato tra i casi di inottemperanza all’obbligo di consultazione della Bce su progetti legislativi avvenuti nel 2020, proprio quello che «ha riguardato un progetto di legge italiano su un meccanismo di rimborso per acquisti effettuati tramite strumenti di pagamento elettronici, considerato chiaro e rilevante per via degli effetti sugli strumenti di pagamento, in particolare sul contante». Uno a caso.

Qualche giorno fa anche alcuni politici italiani dell’opposizione hanno presentato una mozione in Senato per l’abolizione della misura. Sullo sfondo, la richiesta di reindirizzare i corposi fondi del cashback verso il sostegno delle aziende in crisi, e tutelare i posti di lavoro che si stanno perdendo ogni giorno, in questa richiesta accompagnati e supportati dalla Federazione Italiana Pubblici Esercizi.

La mozione alla fine è stata respinta dal Senato, ma il programma Cashbak è scomparso dalle voci del Recovery Plan, mentre nella vecchia bozza, manco a dirlo, già figurava tra le misure in essere per le quali si sostituivano i fondi italiani con quelli europei.

Scatta quindi il toto cashback. Oggi vale 5 miliardi, ma è stato programmato in scadenze semestrali, l’ultima il 30/6/2022, e costa circa 1,5 miliardi di euro al semestre.

Al momento la decisione sulla sospensione anticipata pare sia stata rimandata. Ma dai segnali all’orizzonte si profila già una brutta bocciatura.

Ad maiora!

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