Chi evade davvero in Italia? I nuovi dati del Dipartimento delle Finanze tracciano un ritratto impietoso di settori e professioni che, secondo i dati diffusi dal Ministero, dichiarerebbero spesso redditi incompatibili con il loro tenore di vita.

L’Amministrazione Finanziaria, da qualche anno, si è vestita da maestra, decidendo di mettere i voti alle imprese e fare diventare la dichiarazione dei redditi una vera e propria “pagella fiscale”, fotografata attraverso gli indici ISA, che – stando ai dati del Dipartimento delle Finanze – farebbero emergere una frequente rottura del patto fiscale tra Stato e cittadini.

Molte delle principali testate nazionali, specialistiche e non, dal Sole 24 Ore, al Corriere della Sera, passando per il Fatto Quotidiano, hanno fatto un’analisi di questi dati, raccontando una storia impietosa, fatta di imprese inadempienti agli occhi del Fisco, che si muovono nell’opacità di un ombroso sottobosco fiscale.

Il podio dell’inaffidabilità fiscale spetterebbe, secondo il Ministero, a locali notturni e scuole di danza, dove il 77% degli operatori dichiarerebbe redditi incoerenti rispetto agli standard del settore. Seguono bar e gelaterie (56%), e ancora panettieri (70%), negozi di merceria (68%), giocattoli (67%) e abbigliamento (65%), che farebbero registrare tassi elevatissimi di potenziale evasione.

Contraddittori anche i dati relativi a gioiellerie e pelliccerie, che in media dichiarano 51 mila euro annui, ma il 55% dei titolari sostiene di guadagnarne appena 28 mila. Simile la situazione dei balneari, che nel 58% dei casi si fermano a 15 mila euro di reddito, pur operando in un settore turistico molto profittevole.

Anche peggio, sempre secondo il Ministero, i dati relativi a consulenti finanziari e assicurativi, dei quali circa il 70% non raggiunge la sufficienza fiscale, dichiarando in media 125 mila euro, contro i pretesi 568 mila degli operatori considerati affidabili dalle pagelle del Fisco.

Ma qual è la misura del reddito esatto per il fisco?

La misura della “potenziale evasione” denunciata dal Ministero, sta proprio nella differenza tra il reddito dichiarato da chi ogni giorno si sveglia per andare a lavorare e guadagnare, e il freddo dato statistico, il reddito stimato, calcolato a tavolino con l’uso di ancora più gelidi algoritmi.

Quindi, la domanda a questo punto diventa: ma c’è evasione quando l’azienda non raggiunge il risultato voluto dal Fisco, quando la pagella fiscale è insufficiente?

La risposta è assolutamente NO.

Isa non è altro che l’acronimo di Indicatori Statistici di Affidabilità, strumenti appunto statistici che, inquadrando le imprese in gruppi più o meno omogenei, ne rideterminano i ricavi attraverso l’applicazione di un mero calcolo matematico.

I risultati che vengono fuori, quindi, non dicono che l’impresa ha evaso, ma hanno una natura meramente presuntiva, e rappresentano esclusivamente un indicatore di quello che potrebbe essere un comportamento illecito del contribuente solo potenziale.

Rilevato il risultato in pagella, quindi, per poter parlare di evasione, sono numerosi i fattori che devono essere considerati, forse ancora di più di quelli che vengono utilizzati dalla macchina per il suo calcolo statistico.

Ad esempio, si deve verificare la corretta applicabilità degli ISA alle realtà specifiche analizzate e, nel caso concreto, degli standard prescelti, prendere in considerazione tutta una molteplicità di variabili che possono influire sul risultato, interne all’azienda, quali il settore, la localizzazione, i processi produttivi sottostanti, ecc.; esterne all’azienda, quali l’andamento della domanda, il livello dei prezzi, il costo del denaro, ecc.; oltre a fattori prettamente territoriali, come l’area in cui opera l’azienda, il mercato di sbocco, la tipologia dei fabbisogni, ecc.

Per cui, scrivere che Tizio o Caio ha evaso perché ha un voto basso nella pagella del Fisco, sembra più un’inutile propaganda, tesa a creare malumori sociali che possano giustificare le misure draconiane di un Fisco che, tra imposte dirette e indirette, tasse e altri contributi, ogni anno ci obbliga a lasciare sul piatto molto di più del 50% di quello che portiamo a casa.

Oltre alle imposte sui redditi che in questo periodo dell’anno paghiamo con la nostra dichiarazione dei redditi (e relativi contributi), paghiamo anche l’Iva su tutto quello che consumiamo ogni giorno, insieme a tutta una serie di tasse e balzelli che oramai manco consideriamo più, quali bollo auto, canone Tv, tasse sui passaggi di proprietà, bolli sui conti correnti, accise su benzina e gasolio, accise sull’energia elettrica che consumiamo a casa, eccetera eccetera eccetera.

Chi evade rompe il patto di solidarietà su cui si fonda il sistema fiscale italiano, è vero, contribuendo meno o nulla ai servizi pubblici come sanità, istruzione e previdenza, ma se mettessimo in fila tutto quello che spendiamo nella nostra vita per noi e tutto quello che dei nostri soldi va a finire nelle tasche dello Stato, partirebbe seduta stante una rivoluzione.

L’evasione c’è, esiste, ed incide con il suo peso nella nostra economia, ma pensare di combattere con questi strumenti tanto inutili quanto costosi l’evasione, che esiste e va stroncata, è pura utopia.

Non è sobbarcando i contribuenti dei costi dell’inefficienza della macchina statale che si combatte l’evasione, e nemmeno fomentando la lotta di classe tra imprenditori e lavoratori dipendenti, che si risolve il problema.

Quando l’imprenditore guadagna e produce utile, il dipendente sta meglio; quando lo Stato “prenditore” mette in crisi le aziende, invece, sono tutti a perderci, per primi gli stessi lavoratori.

Digitalizzazione, ISA, bulimia normativa, eccessiva burocratizzazione, non sembrano di certo le giuste soluzioni al problema.

L’evasione va stroncata sul campo, non a tavolino, ripulendo i mercati dalle decine e decine distorsioni create da comportamenti scorretti di aziende infedeli che mettono in crisi gli imprenditori per bene, combattendo i “trucchetti” dei colossi internazionali, che alla fine pesano sui piccoli e onesti, producendo danni per decine di milioni di euro.

L’evasione va certamente combattuta ogni giorno, questo è un dato di fatto, ma l’albero, se malato, va curato, va sfrondato, perché – se viene tagliato alla base – nessuno potrà più godere della sua ombra e dei suoi frutti.

Ad maiora

Fabrizio Carta

 

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