(Redazionale) “Le persone non hanno ancora compreso a pieno quanto sia fondamentale l’organo cute”. Asserisce il dermatologo Paolo Maccà, 56 anni, padovano originario del vicentino, che opera nel campo della dermatologia clinica, trattando acne, psoriasi e dermatiti, oltre a patch test per le allergie. Con un master in dermochirurgia avanzata presso l’Università di Siena per la prevenzione e la cura del melanoma e dei tumori cutanei, quest’anno compie 25 anni di onorata carriera da Specialista Dermatologo, da 30 anni medico. Una missione la sua nella prevenzione e tutela dell’organo cute, organo sottovalutato ma indispensabile non solo da un punto di vista estetico o come involucro corporeo, ma messaggero di segnali che spesso potrebbero costarci la vita se non accolti in tempo.

Tra le tante abitudini errate c’è anche la ricerca del medico di base per qualsiasi esigenza. Il suo contatto è utile come primo approccio per il paziente che poi troverà il corretto indirizzo. Il ruolo dello specialista quindi spesso passa erroneamente in secondo piano, quando invece è la figura che può dare una soluzione precisa e specifica, soprattutto all’insorgenza di sintomi sottovalutati, come pruriti della pelle.

Il Coronavirus ha portato in questi anni ad un uso continuo di mascherine, guanti, oltre a stress da lockdown, smart working e farmaci usati per le terapie che hanno provocato l’insorgenza di manifestazioni cutanee. Per non parlare dell’euforia della ritrovata libertà che ha portato ad un abbassamento della guardia e ad esposizioni al sole senza protezione. Dopo aver abituato sempre meno la pelle alla luce solare, la cute è stata quindi traumatizzata da un eccesso improvviso di esposizione, portando ad un aumento di eritemi solari.

Ma il nemico numero uno della pelle resta il melanoma, tumore provocato dalla degenerazione di un neo benigno, che non conosce sesso, non accetta compromessi e resta il maggior responsabile di decessi da tumore cutaneo, più dell 80%, un trend in aumento in questi anni come sostiene il dermatologo Paolo Maccà. “Assieme al carcinoma squamoso e linfomi cutanei, il melanoma rappresenta uno dei tumori cutanei più diffusi. L’importanza della prevenzione è tutto, la tempestività nell’asportazione dei nevi, o nei, è fondamentale”.

Intervista all’esperto, parla il dottor Paolo Maccà

Perché ha scelto questa professione?

“E’ difficile dare una risposta. La scelta di medicina avviene perché si ha una certa propensione a dare un aiuto a chi ha bisogno. Nel corso degli studi di medicina si valuta quello che attira di più da un punto di vista scientifico e di ricerca. Può capitare che durante un percorso di vita quotidiano si incontrino situazioni che poi portino a riflettere, a considerare quel ruolo, in questo caso considerare la pelle come un organo quale è, da non sottovalutare. La dermatologia è una branca con un risvolto non solo della patologia in sé, ma anche sul piano estetico e psicologico, quindi sul benessere della persona essendo l’organo cute il nostro involucro.

Melanoma, come si identifica un melanoma e da che età?

“E’ molto importante fare un controllo generale dei nei, la cosiddetta mappatura, di solito dai 15 anni in su. Questo perché lo si fa a fine crescita, nel momento in cui facciamo la mappatura dei nei dobbiamo verificare che i nei che vediamo nella prima visita poi nel tempo non cambino troppo secondo la famosa ‘regola ABCDE’ che è la regola visiva (asimmetria, bordi, colore, dimensione, evoluzione), ed è una regola che il paziente deve applicare anche a casa tra una visita e l’altra. Quello che invece noi valutiamo è l’aspetto dermatoscopico, cioè cosa succede all’interno del neo, ciò che non si vede ad occhio nudo ma che vediamo con l’uso di apparecchiature che possono essere manuali o ancora meglio il videodermatoscopio, che ci permette di archiviare delle immagini per poterle seguire nel tempo. E’ quindi molto importante dalla fine dello sviluppo, 15 anni in su, fine adolescenza, verificare che i nei non si modifichino sia visivamente ma anche dermatoscopicamente. E’ sempre meglio vedere cosa succede all’interno del neo, basta anche una volta l’anno, per vedere come si comporta all’interno.

C’è più rischio tra uomini o donne?

“Leggermente superiore nell’uomo, soprattutto a livello del tronco e nella donna invece nelle gambe, arti inferiori come incidenza. Le teorie sono tante, una delle più accreditate sembra essere la depilazione nel tempo”.

Cosa valutate nella quotidianità per, non solo curare la patologia dermatologica, ma anche per prevenire eventuali complicanze che possono determinare anche un rischio vita?

“Nel rischio del melanoma ci sono altri fattori che lo predispongono, che sono in particolare la predisposizione genetica, sapere quindi se c’è famigliarità con il melanoma da parte di un genitore, un nonno, in quanto geneticamente se c’è un caso di melanoma in famiglia tutti i parenti dovrebbero fare una verifica perché addirittura si parla addirittura di fattore di rischio principale. Poi il fototipo, colore degli occhi, colore dei capelli, cute chiara, seguendo la suddivisione dei soggetti in 6 fototipi dal rosso occhi chiari al soggetto scuro di pelle ma anche allo stile di vita, esposizione al sole senza protezione, lampade ultraviolette abbronzanti, e la presa di coscienza del rischio. Sicuramente la patologia dell’ambiente dermatologico più a rischio sono i tumori cutanei, in particolare il melanoma tenendo conto che, sì è cutaneo pur essendo il 5% circa dei tumori della pelle ma è la causa del più dell’80% delle morti da tumore. Percentualmente è quindi basso rispetto agli altri tumori della pelle, ma come rischio vita è quello più pericoloso”.

Secondo lei c’è abbastanza informazione?

“L’informazione c’è, non è percepito il rischio. Fino a quando non capita qualcosa al vicino non ci si informa a dovere. E sì che sotto i 50 anni il melanoma è diventato il secondo tumore con un’incidenza molto elevata”.

Come si accorgono i pazienti di un possibile melanoma?

“Tramite l’esperienza di qualcuno o perché hanno notato il cambiamento di un neo che è diventato più scuro, più fastidioso, ma spesso ormai è troppo tardi. Con il controllo della mappatura dei nei si spera sempre di non trovare melanomi, si spera al massimo di trovare nei che sono potenziali melanomi e così di riuscire ad individuare dei nei che potrebbero trasformarsi o stanno per trasformarsi in melanomi e che vengono asportati prima che lo diventino. La tempestività nell’asportazione dei nei è fondamentale”.

Ha mai curato dei bambini?

“Tranquillizziamo tutte le mamme: il rischio di melanoma sui bambini è praticamente pari a zero. Proprio per il discorso della crescita di cui parlavo prima. Logicamente casi rarissimi ci possono essere ma si presentano alla nascita e vengono trattati già i primi giorni di vita. Ma sotto i 10 anni praticamente sono inesistenti”.

Tiriamo le somme dopo il Covid. Secondo la sua esperienza ad oggi com’è la situazione?

“L’incidenza del melanoma sta aumentando. Non si è fatta più prevenzione. Molti che avevano situazioni di mappature nei che dovevano essere valutate a stretto giro sono state ritardate anche di uno, due anni. E proprio perché andrebbe fatta almeno una volta l’anno è stato un problema. Per mia esperienza meglio fare un controllo generale una volta ogni due anni, anche a chi non ha nei. Perché se compare qualcosa di nuovo dietro le orecchie o nella pianta del piede il paziente non se ne accorge. Il 50% dei melanomi insorge ex novo, senza che ci sia una preesistenza. Quindi dobbiamo da un lato controllare i nei che abbiamo già, dall’altra verificare che non compaia una macchia nuova che non sia già un melanoma”.

Secondo la sua esperienza professionale il Covid, unito ad una mancata prevenzione, sta mietendo vittime?

“Il Covid inteso come infezione no, come abitudini che abbiamo iniziato ad avere per via del Covid sì. Per mia esperienza personale ho riscontrato che in questi ultimi due anni tante persone che sono venute in ambulatorio con eritemi solari. Significa che, il fatto di non esserci esposti per molto tempo alla luce del sole ha fatto sì che, non appena c’è stata la possibilità di uscire, si sia usata poca protezione se non nulla. La cute non era preparata per l’esposizione, l’abbassamento della guardia nei confronti della protezione del sole, che non deve essere mai sotto la 30, ha provocato queste reazioni. Non ho mai visto in 25 anni così tanti eritemi solari”.

Quindi è corretto affermare che in questi anni i casi di melanoma sono aumentati. E da un punto di vista di vittime?

“In questi ultimi due anni c’è un’aumentata incidenza di melanoma ma fortunatamente c’è una tendenza ad avere meno decessi grazie anche alle nuove terapie come l’immunoterapia, i famosi anticorpi monoclonali. Si usano per tante patologie come malattie autoimmunitarie, reumatoide, malattie croniche intestinali, hanno permesso un’aumentata percentuale di guarigione con tutti i casi di melanoma e un’aumentata sopravvivenza anche nei casi di melanoma con metastasi, e non è da poco. Quindi da un lato una maggiore incidenza di diagnosi ma grazie alle cure, soprattutto la terapia immuno anticorpi monoclonali c’è la possibilità di guarire, con una percentuale più alta rispetto al passato, sia nei melanomi diagnosticati ma soprattutto con quelli che hanno importanti metastasi. Ben l’ 87% di sopravvivenza a 5 anni del melanoma e con metastasi celebrali, le più tremende, una sopravvivenza a 5 anni superiore del 50%, grazie all’associazione dell’immunoterapia e di due anticorpi monoclonali”.

Quali sono quindi i segnali da non sottovalutare?

“Cambiamento della ‘regola ABCDE’, visivo, quindi un neo che diventa più scuro, irregolare, più grande o se inizia a dare sintomatologia come prurito o addirittura sanguinamento ma quello generalmente lo si trova in uno stato più avanzato”.

Com’è la situazione in Veneto? Secondo il suo punto di vista la situazione sulla cura e prevenzione del melanoma

“Si fa un ottima prevenzione, la situazione è sotto controllo, ci sono numerosi gruppi di lavoro in ogni ULSS compresa la 7 pedemontana, con collaborazione tra dermatologi, chirurghi e anatomopatologi. In ogni Ulss ci sono gruppi di lavoro dedicati alla prevenzione del melanoma, un’ottima sinergia che permette di effettuare ovunque una prevenzione ottimale.

Tra l’altro vengono fatte anche campagne di prevenzione, come la LILT sulle piazze, e anche giornate dedicate per informare sui rischi dei tumori cutanei. Quindi che anche come informazione qui in Veneto, grazie anche agli eventi vari, tengono alta l’attenzione”.

Nell’Alto Vicentino ci sono altri punti di riferimento o c’è sempre la solita Padova?

“A Padova c’è lo IOV come centro regionale, quindi quando ci sono quelle situazioni di melanoma avanzato, poi vengono inviati nelle strutture oncologiche di ricerca, anche perché le terapie immuno anticorpi monoclonali possono essere fatte solo in ambito ospedaliero. Noi facciamo le mappature, inviamo al chirurgo, il chirurgo poi invia all’anatomopatologo il pezzo che ci informa poi dell’esito dell’istologia. A livello locale abbiamo anche un gruppo whatsapp chat, quindi il passaggio delle informazioni è sempre immediato tra noi. Tra noi c’è l’intenzione di arrivare subito”.

C’è stato un momento brutto, come ad esempio non aver salvato un paziente?

“Parlando per mia esperienza personale, che io sappia, in 25 anni di lavoro nessuno dei miei pazienti è venuto a mancare, e ringrazio tutti i giorni quando invece purtroppo i numeri sono importanti. Quello che mi rattrista molto quando sento che c’è stato un decesso di melanoma, soprattutto in soggetto giovane, perché purtroppo il melanoma può determinare il decesso di soggetti giovani e la maggior incidenza va dai 35 ai 55 anni. Oltretutto, se c’è un vantaggio nel prevenire un melanoma rispetto a tanti altri tumori, come intestino, mammella che è visibile quindi bastava una maggiore sensibilizzazione, una maggior attenzione, il fatto di fare una visita rapida nel momento in cui ci si rendeva conto di un cambiamento. Mi risulta anche non facile comunicare al paziente quando c’è da asportare una neo formazione sospetto melanoma. In effetti in questi ultimi 2-3 anni mi è capitato di riscontrare più melanomi già in occasione della prima visita. Quindi comunicare al paziente che ciò che si andrà a togliere quasi sicuramente si tratta di un melanoma, questo crea ansia non solo per il paziente che riceve questa notizia ma anche per me che la devo comunicare, da un punto di vista umano. Il paziente poi ha un’attesa di circa 30 giorni tra l’asportazione e ricezione dell’esame istologico, un mese nella speranza che si tratti di un melanoma in situ. Mi è capitato in questi due anni di vedere già in corso di prima visita di un melanoma e dire al paziente che purtroppo bisogna toglierlo con urgenza perché la tempestività dell’asportazione è fondamentale per non esiti infausti.

Invece un risvolto positivo?

“La gioia grande invece è che quando viene comunicato l’esito e magari il paziente legge melanoma e si preoccupa per la diagnosi ma si tratta di un melanoma in situ, quindi si fa un allargamento ed è negativo, la cosa bella è che deve guardare il bicchiere mezzo pieno. Che non dev’essere preoccupato perché gli è stato diagnosticato un melanoma, ma deve essere contento di averlo tolto prima che andasse in metastasi. Certo non è mai facile una diagnosi del genere, ma nel momento in cui vedi che hai affrontato il problema hai sconfitto anche una possibile morte grazie alla tempestività. In quella occasione poi si sensibilizza l’intera famiglia e si riescono a volte a prevenire altre situazioni ereditarie, c’è una presa in carico della famiglia e di coscienza di una situazione da tenere in considerazione come possibile rischio reale”.

Cosa è possibile ancora scoprire con una visita dermatologica?

“Davvero molto, si scava a fondo. Mi capita di fare ad esempio diagnosi di altri tumori, che hanno una percentuale più bassa (il 20%) rispetto al melanoma (80%) ma sempre rischiosi, come il carcinoma squamoso, linfomi cutanei, o a tumori legati al papilloma virus, che grazie alla vaccinazione obbligatoria dai 12 anni si incomincia a vedere un trend collettivo. Per esempio una delle patologie che diagnostichiamo spesso come la psoriasi cutanea può essere associata a patologie cardiovascolari, quindi rischio di sclerosi o infarto. In questo modo indirizziamo il paziente nell’individuare un’altra possibile problematica che si cela dietro alla psoriasi. La cute è un organo che allarma”.

Un messaggio che vuole lanciare a tal proposito

“L’essere umano deve imparare ad essere più consapevole del suo corpo, deve iniziare a prendere in considerazione che diverse parti del corpo hanno necessità di visite e controlli. Tanti non hanno la percezione di cos’è l’organo cute, che non è solo il nostro involucro e l’organo che ci rapporta con il mondo esterno, è un organo che ha delle funzioni importantissime sia dal punto di vista immunitario sia metabolico. Spesso le manifestazioni cutanee sono campanello di allarme di malattie intervistiche importanti. Ad esempio una persona che può avere un prurito pazzesco e sulla cute non c’è niente, potrebbe avere un’insufficienza renale. Quest’organo cute viene spesso maltrattato, si beve troppo poco ad esempio”.

 

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