Il fegato dei giovani italiani soprattutto torna sotto osservazione, anche a causa di nuovi stili di vita che provocano un aumento delle cause metaboliche di diverse patologie. In particolare i nuovi modelli culturali che portano a consumare sempre più bevande alcoliche al di fuori dal pasto e che colpiscono i giovani mettono a serio rischio la salute del fegato. Questo è uno degli aspetti sotto osservazione di centinaia di specialisti, in occasione del 56° Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato, che si tiene a Roma presso il Centro Congressi Auditorium della Tecnica in Viale Umberto Tupini, 65, giovedì 14 e venerdì 15 marzo, alla presenza di oltre 800 specialisti.
A BERE SONO SOPRATTUTTO I GIOVANI, MA ANCHE I PAZIENTI CON EPATOPATIA. IL FENOMENO BINGE DRINKING
Dalle stime dell’Istat e dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto Superiore di Sanità emerge che circa 35 milioni di italiani sopra gli 11 anni di età consumino bevande alcoliche (78,1% di uomini e 53,5% di donne) e che, di questi, più di 8,6 milioni abbiano una modalità del bere a rischio. Nel biennio 2021-2022, solo il 42% degli adulti di età compresa tra i 18 e i 69 anni dichiara di non consumare bevande alcoliche, mentre 1 persona su 6 (17%) ne fa un consumo definito a “maggior rischio” per la salute, per quantità o modalità di assunzione. Il 9% si caratterizza per consumi episodici eccessivi, secondo il fenomeno del binge drinking (5 o più unità alcoliche in una unica occasione per gli uomini e 4 o più per le donne). Il consumo a “maggior rischio” è più frequente tra i giovani e in particolar modo tra i giovanissimi (fra i 18-24enni la quota sfiora il 35%), fra gli uomini (21% vs 13% nelle donne) e tra le persone socialmente più avvantaggiate (19% vs 14%). Preoccupa anche il numero di persone che assume alcol pur avendo una controindicazione assoluta, come i pazienti con malattie del fegato, tra i quali il 52% dichiara di aver consumato alcol nei 30 giorni precedenti l’intervista. Il consumo di alcol a “maggior rischio” resta una prerogativa dei residenti nel Nord Italia (con un trend in aumento), in particolare il nord-est.
“Il consumo di alcol in Italia sta subendo cambiamenti – evidenzia Giacomo Germani, Gastroenterologo, Unità Trapianto Multiviscerale, Azienda Ospedale – Università di Padova –. Se prima era prevalente il consumo di vino durante il pasto, emergono percentuali del 40% per gli uomini e quasi il 20% delle donne che consumano alcolici fuori pasto. I dati cambiano poi a seconda dell’età, con i giovani che consumano più birra o altri alcolici. I consumatori abituali eccedentari tra i 16-17 anni registrano la percentuale più elevata, con il 35% dei maschi e il 29% delle femmine. Questo determina un problema sociale oltre che di salute. Nel 2021 circa 3 milioni italiani sopra gli 11 anni che hanno consumato alcol con modalità “binge drinking”, tra questi il 9.5% erano uomini e 3.6% donne. Un altro dato allarmante è che c’è una fascia d’età molto giovane, compresa tra gli 11 e i 17 anni, in cui il 17% dei maschi e il 14% delle femmine ha assunto alcol”.
Gli effetti nocivi dell’alcol sulla salute possono essere di diverso tipo, senza contare che sono particolarmente gravi nei minori in quanto fino a 18 anni gli enzimi non sono ancora maturi per metabolizzarlo, aumentando così anche il rischio di provocare un coma etilico.
“L’alcol può avere effetti sul fegato che vanno dalla steatosi (l’accumulo di grasso) fino alla cirrosi, all’epatocarcinoma e all’epatite acuta alcol correlata, che ha un’elevatissima mortalità – spiega Giacomo Germani – Ci sono poi i danni indiretti, come gli incidenti stradali, oltre ad altre patologie che colpiscono altri organi e a livello sistemico. Le preoccupazioni per la salute emergono anche in prospettiva: una popolazione giovanile che consuma alcol in quantità significative già dagli 11 anni d’età si espone in prospettiva a un elevato rischio di malattia epatica, soprattutto se in presenza di altre patologie o di predisposizione genetica. Anche il binge drinking è un fattore di rischio: insieme ad altri cofattori come il diabete o la predisposizione genetica nel lungo periodo può accentuare lo sviluppo di malattia epatica cronica e in particolare la cirrosi”