di Diana Romersi, Giornalista e Infodemic manager accreditata OMS

Brevi video per svelare agli utenti i trucchi della disinformazione online. Google punta sul prebunking per combattere in Europa fake news e teorie del complotto. Abbiamo sperimentato tutti quanto fossero invasive le distorsioni informative e le assurde teorie in tema di salute che circolavano durante i periodi più duri della pandemia da Covid-19. Questa consapevolezza ha stimolato istituzioni e ricercatori a lavorare sul contrasto alla disinformazione anche cercando nuove strade e soluzioni. Con loro anche molte aziende tecnologiche impegnate nel campo dell’informazione stanno collaborando in questa direzione.

Prebunking: di cosa si tratta?

È notizia di questi giorni che Google ha sperimentato la nuova tecnica di prebunking, che sta guadagnando sempre più sostegno tra ricercatori e aziende digitali, in Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. E dopo aver visto risultati promettenti nell’Europa orientale, Google ha deciso di avviare una nuova campagna anche in Germania.

Da tempo si parla di debunking, ovvero l’impegnativa attività di esperti e giornalisti che punta a confutare notizie o affermazioni false, antiscientifiche, spesso frutto di credenze, ipotesi, convinzioni, teorie ricevute e trasmesse in modo acritico. Una pratica che unisce la verifica delle informazioni diffuse offline e online, e il factchecking delle fonti ufficiali, quali media, fonti governative ecc. Tuttavia, il debunking interviene nel momento in cui la disinformazione si è già diffusa e ha causato danni. Ad esempio scoraggiando i cittadini alla vaccinazione o a seguire le prescrizioni delle autorità sanitarie. I factchecking dei giornalisti sono efficaci, ma sono laboriosi, non vengono letti da tutti e non convinceranno coloro che già diffidano del giornalismo tradizionale. La moderazione dei contenuti da parte delle aziende tecnologiche è un’altra risposta, ma spinge solo la disinformazione altrove, provocando grida di censura e pregiudizi. Pertanto si è compreso che la prevenzione poteva produrre margini di efficacia più ampi rispetto a un intervento a posteriori.

Prebunking e teoria dell’inoculazione

Da queste osservazioni nasce l’approccio chiamato prebunking, che vuole intervenire in anticipo e insegnare alle persone come individuare le false affermazioni prima di incontrarle. Il prebunking dunque prevenire la disinformazione identificando lacune informative e vuoti di dati. La nuova tecnica ha poi alla sua base la «teoria dell’inoculazione», cioè l’idea che se introduci una forma indebolita di disinformazione prima che le persone la sperimentino in natura, quest’ultimi saranno meglio preparati a respingerla quando la incontreranno. In sintesi si tratta di una “vaccinazione” contro la disinformazione. Google ha quindi deciso di adottare la tecnica del prebunking pubblicando una serie di brevi video che evidenzino le più comuni tecniche di disinformazione. I video appariranno come pubblicità sulle piattaforme Facebook, YouTube o TikTok. «Utilizzare gli annunci come veicolo per contrastare una tecnica di disinformazione è piuttosto nuovo. Siamo entusiasti dei risultati», ha affermato Beth Goldberg, responsabile della ricerca e sviluppo di Jigsaw, una divisione incubatore di Google che studia le sfide sociali emergenti. Quello di Google è uno dei più grandi test della teoria, con una campagna video prebunking che ha coinvolto Paesi quali Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. I video hanno analizzato diverse tecniche viste nella disinformazione riguardo i rifugiati ucraini. Molte di queste affermazioni si basavano su storie allarmanti e infondate di rifugiati che commettevano crimini o sottraevano lavoro ai residenti.

38 milioni di visualizzazioni

I video sono stati visti 38 milioni di volte su Facebook, TikTok, YouTube e Twitter, un numero che equivale alla maggioranza della popolazione nelle tre nazioni. I ricercatori hanno scoperto che rispetto alle persone che non avevano visto i video, coloro che li avevano guardati avevano maggiori probabilità di essere in grado di identificare le tecniche di disinformazione e meno probabilità di diffondere false affermazioni ad altri. I video di prebunking sono relativamente economici, facili da produrre e possono essere visti da milioni di persone se inseriti su piattaforme popolari. Evitano anche del tutto l’arena politica concentrandosi non sui temi delle false affermazioni, che spesso sono parafulmini culturali, ma sulle tecniche che rendono la disinformazione virale così contagiosa. Queste tecniche includono la paura, il capro espiatorio, i falsi confronti, l’esagerazione e la mancanza di contesto. Che l’argomento sia il Covid-19, sparatorie di massa, immigrazione, cambiamento climatico o elezioni poco importa: le affermazioni fuorvianti spesso si basano su uno o più di questi trucchi per sfruttare le emozioni e mandare in cortocircuito il pensiero critico.

Anche in Germania

La nuova campagna di Google in Germania includerà un focus su foto e video e sulla facilità con cui possono essere presentati come prova di qualcosa di falso. Un esempio: nelle scorse settimane, in seguito al terremoto in Turchia, alcuni utenti dei social media hanno condiviso il video della massiccia esplosione a Beirut nel 2020, sostenendo che si trattava in realtà di filmati di un’esplosione nucleare innescata dal terremoto. Non era la prima volta che l’esplosione del 2020 era stata oggetto di disinformazione. Il prebunking, secondo Alex Mahadevan direttore di MediaWise, è un «modo abbastanza efficiente per affrontare la disinformazione su larga scala, perché puoi raggiungere molte persone e allo stesso tempo affrontare un’ampia gamma di disinformazione». MediaWise è un’iniziativa di alfabetizzazione mediatica del Poynter Institute che ha incorporato il prebunking nei propri programmi in Paesi quali Brasile, Spagna, Francia e Stati Uniti.

Limiti e ricerca

Tuttavia, anche il prebunking ha i suoi limiti. Gli effetti dei video alla fine svaniscono e per questo è necessario l’uso periodico di sempre nuovi video “booster”. Inoltre, i video devono essere realizzati abbastanza bene da attirare l’attenzione dello spettatore e adattati a lingue, culture e dati demografici diversi. E come un vaccino, non è efficace al 100% per tutti. Google ha scoperto che la sua campagna nell’Europa orientale variava da Paese a Paese. Mentre l’effetto dei video è stato più alto in Polonia, in Slovacchia hanno avuto «un effetto minimo o nullo», hanno rivelato i ricercatori. Una possibile spiegazione: i video sono stati doppiati in lingua slovacca e non creati appositamente per il pubblico locale.

 

Articolo a cura di Diana Romersi – Giornalista e Infodemic manager accreditata OMS

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