“Le controversie in medicina sono tante, ma l’85% delle presunte denunce per casi di malasanità finisce in una assoluzione per il medico. In questo modo si intasano solo le aule di tribunale, ma soprattutto si distrugge la vita privata e lavorativa del professionista, che dopo l’arrivo di un avviso di garanzia dovrà attendere anche 10 anni per arrivare ad un giudizio definitivo del tribunale“. Così Musa Awad, consigliere dell’Ordine dei Medici di Roma, nel corso di una intervista rilasciata alla Dire sul tema della conciliazione in ambito sanitario, in occasione della presentazione a Roma del ‘Rapporto 2021 sui Conflitti e sulla Conciliazione‘. L’evento si è svolto nei giorni scorsi presso la Sala del Carroccio in Campidoglio.

“Come Ordine dei Medici- ha proseguito Awad- abbiamo tutto l’interesse a ridurre queste controversie e a cercare di chiuderle attraverso la conciliazione, senza arrivare in tribunale. Già nel 2005, in tempi non sospetti e prima del legislatore, abbiamo istituito presso l’Ordine dei Medici di Roma lo sportello ‘Accordia’, una sorta di organismo di conciliazione fra le parti, medici e cittadini, proprio per risolvere le controversie. Siamo stati inoltre tra i primi a partecipare all’Osservatorio della conciliazione del Tribunale di Roma“.

La cultura della mediazione e della conciliazione, secondo il consigliere dell’Omceo Roma, deve però partire “da lontano, fin dall’insegnamento nelle scuole. Anche la comunicazione è molto importante- ha sottolineato- e i giornalisti devono fare la loro parte, senza incitare all’odio i lettori, con articoli o titoli sensazionalistici, su casi di presunta malasanità. Per arrivare ad una buona conciliazione è necessario quindi anche fare una buona comunicazione, perché una cattiva comunicazione aumenta la conflittualità”.

Ha raccontato ancora Awad: “Ho visto molti colleghi abbandonare la professione, perché per un medico vedersi accusato di aver fatto un danno ad un paziente che ha assistito è qualcosa di terribile. Nessun medico si alza la mattina per andare a fare del male a qualcuno, sia chiaro. Poi certo, chi lavora può sbagliare, ma questo vale anche per l’avvocato o il giudice”.

Oltre alla sfera privata, poi, c’è anche quella pubblica del medico, il cui nome magari finisce sui giornali: “Pensate al fardello che deve sopportare, come spiegherà (o dovrà giustificarsi) dell’accaduto ai suoi figli oppure ai loro compagni di scuola, che leggeranno del caso sulla stampa? Diventa una gogna- ha sottolineato Awad- e la vita del medico, da un giorno all’altro, entra così in un frullatore mediatico, senza ancora che lui sia dichiarato colpevole”. Anche per questo oggi molte scuole di specializzazione sono a “rischio estinzione” e “sempre meno giovani vogliono diventare anestesisti, medici di pronto soccorso o chirurghi, proprio per il timore di incorrere nella medicina difensiva. Speriamo allora che prima o poi il legislatori arrivi a depenalizzare in modo completo l’atto medico”, ha chiosato Awad. Infine, “vogliamo rivolgere un pensiero alla collega Barbara Capovani, la psichiatra aggredita mortalmente da un suo paziente a Pisa, alla sua famiglia e a tutti i medici e gli infermieri che hanno perso la vita allo stesso modo sul luogo di lavoro- ha detto- Le aggressioni verbali o fisiche nei confronti del personale medico e infermieristico sono purtroppo all’ordine del giorno, per questo è necessario mettere i professionisti nelle condizioni di lavorare in totale sicurezza, per evitare atti di violenza che possono portare a tragiche conseguenze”. Il consigliere dell’Omceo Roma ha quindi concluso così: “Il nemico del paziente non è il medico, ma la malattia”.

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