Una vera e propria fuga dall’Italia per andare a lavorare in Svizzera, dove gli stipendi mensili prevedono almeno il doppio della retribuzione. Sono sempre di più i nostri medici ed infermieri che scelgono di abbandonare il nostro Paese per prestare servizio oltre frontiera, in particolare per la sanità elvetica, attualmente in difficoltà per i molti abbandoni dei professionisti post-Covid. Nel Canton Ticino, intanto, un camice bianco su sei ha il passaporto tricolore. “La vicinanza con l’Italia- ha dichiarato pochi giorni fa in una intervista rilasciata al ‘Corriere del Ticino’ Pius Zängerle, direttore di Curafutura (l’associazione degli assicuratori-malattia che riunisce le casse leader in Ticino e rappresenta oltre il 60% degli assicurati nel Cantone)- fornisce un bacino di manodopera frontaliera al settore sanitario che, in proporzione, non ha eguali nel resto del Paese”. Con un dato su tutti: circa un quarto del personale di cura in ospedali pubblici e cliniche private risiede oltre frontiera.
Dunque un ‘saccheggio’ ai danni della nostra sanità, con l’Italia che si priva dei suoi professionisti, considerati tra i migliori al mondo, dopo averli formati ma lasciati scappare perché picco attrattiva. “Ci sono moltissimi medici e infermieri che seguono questa strada, soprattutto tra quelli che abitano al Nord, poiché sono vicini alla frontiera- commenta alla Dire il presidente dell’Ordine dei medici di Roma, Antonio Magi- C’è da sottolineare che anche in Svizzera, come in Italia, esiste un problema di programmazione, la differenza è che loro, rispetto a noi, risolvono il problema attraendo i nostri professionisti, sia medici sia infermieri, grazie a salari più alti, dandogli la possibilità di lavorare ed essere ben remunerati, contrariamente a quanto accade in Italia. Il nostro Paese, allora, dovrebbe fare lo stesso, cioè entrare in concorrenza e offrire le stesse possibilità. Anche perché noi formiamo a nostre spese i nostri professionisti, che però poi vanno a lavorare altrove”. Ad intervenire sul tema anche il presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Roma, Maurizio Zega, che sempre alla Dire ha commentato: “Questo è un gradissimo problema, noi abbiamo circa 20mila infermieri che sono fuori dall’Italia ad esercitare. E questo oltre che diseconomico per l’Italia, perché noi spendiamo soldi per formare professionisti ma poi sono gli altri ad usufruire di questo bene, è anche un problema di qualità nostro interno. La risposta sanitaria, allora, non può essere solo quantitativa ma anche qualitativa e per poter avere un buon prodotto sanitario- ha concluso- è necessario che ai nostri professionisti venga riconosciuto il dovuto”.