Il ‘quadro clinico’ della psichiatria italiana è (quasi) in fase terminale. I numeri che seguono sono stati diffusi oggi dalla Società Italiana di Psichiatria (SIP), in occasione della prossima Giornata Mondiale della Salute mentale promossa dalla World Federation for Mental Health, che si terrà il 10 ottobre. Il 9 ottobre è prevista anche una conferenza stampa a Roma (ASL – Piazza Santa Maria della Pietà n. 5, ore 11) dove saranno diffusi i dati di un nuovo studio pubblicato su Molecular Psychiatric sulla correlazione tra patologie mentali e altre malattie, e sarà inaugurata la nuova sede nazionale della SIP.

I Numeri. Solo nel 2017 vi sono stati 92 mila i ricoveri in strutture specialistiche, e 600 mila gli accessi al pronto soccorso (contro i circa 576 mila del 2016) per patologie psichiatriche, di cui il 47% per sindromi nevrotiche o somatoformi, che potrebbero essere effettuate negli ambulatori se fossero più efficienti. Tutto questo a fronte di minori possibilità di assistenza. Anche l’attività ospedaliera è al collasso: sono in aumento i ricoveri come dimostra la crescita delle schede di dimissione ospedaliera (SDO) dalle strutture psichiatriche ospedaliere, pubbliche e private (108.874 nel 2016 e 109.622 nel 2017), e le giornate di ricovero (da 1.382.719 nel 2016 a 1.418.336 nel 2017) con conseguente aumento della degenza media da 12,7 giorni nel 2016 a 12,9 giorni nel 2017.

Il calo dei professionisti. Tutto questo a fronte di una riduzione dei professionisti, ormai ridotti all’osso, passati da 62,4 nel 2016 per 100 mila abitanti a 56,6 nel 2017: circa 600 psichiatri in meno in un solo anno in Italia, sottoposti a turni massacranti fra orario e reperibilità o guardie, a rischio di burn-out con aumento di assenze per malattia, infortuni, demotivazione. Questo a causa di scarsi i finanziamenti che non permettono il rinnovamento del personale e il miglioramento della qualità dell’assistenza.

Le prestazioni sanitarie. In sofferenza anche le prestazioni sanitarie, scese da 11.860.073 nel 2016 a circa 11.474.000 nel 2017, mentre crescono i pazienti bisognosi di cure, passati da 807mila circa nel 2016 a più di 851mila nel 2017, per problematiche sempre più complesse e pesanti. Aumentano quelli con vincoli giudiziari per la chiusura degli OPG, quelli affetti da autismo o da ADHD (disturbo da deficit dell’attenzione ed iperattività), con DCA (disturbi del comportamento alimentare), con doppia diagnosi per uso di sostanze stupefacenti o alcool e con complicanze internistiche, migranti e anziani con alterazioni comportamentali dovute ai disturbi cognitivi. Queste condizioni cliniche complesse sono sovente a rischio di cronicizzazione per l’impossibilità di garantire Percorsi Diagnostico Terapeutico Assistenziali (PDTA) adeguati, e per la mancata intercettazione delle situazioni cliniche all’esordio.

A farne le spese sono i pazienti e le loro famiglie costretti a subire il ritardo anche della presa in carico da parte dei Centri di Salute Mentale, con ridotta apertura oraria, attivi solo in poche Regioni per 12h al giorno 5 giorni al settimana come invece era previsto dai Progetti Obiettivi Tutela della Salute Mentale del 1994-1996 e 1998-2000, con una conseguente diminuzione delle prestazioni e una dilatazione temporale, anche di 45 giorni, fra un controllo e il successivo. Benché la situazione sia grave, le possibilità per “risanare” queste criticità ci sarebbero: tornare a potenziare i servizi territoriali al fine di intercettare il disturbo psichiatrico prima che divenga cronico, investire in percorsi di cura efficaci basandosi sui trattamenti con le innovazioni tecnologiche farmacologiche e psicosociali basate sulle evidenze scientifiche (Evidence Based Medicine).

“La psichiatria italiana – dichiara Enrico Zanalda, Presidente della Società Italiana di Psichiatria (SIP) e Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL Torino 3 – soffre innanzitutto della riduzione del numero di operatori per 100.000 abitanti, passato da 62,4 nel 2016 a 56,6 nel 2017, con una mancanza prevalente di psichiatri, psicologi e infermieri che ricade anche sulla potenziale inefficienza dei servizi, dal ritardo della presa in carico dei pazienti da parte dei Centri di Salute Mentale, all’attesa nell’erogazione delle necessarie prestazioni, a fronte di un aumentato numero di pazienti con disturbi mentali, saliti a quasi 852.000 nel 2017 contro gli 807 mila del 2016, con un aggravamento della complessità delle problematiche. A ciò si aggiunge la grave disomogeneità nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) in salute mentale e, dunque, il raggiungimento di standard di qualità confrontabili nelle varie realtà regionali, come dimostrano i report annuali del Servizio Informatico della Salute Mentale (SISM) pubblicati dal Ministero della Salute negli ultimi tre anni. Non deve stupire la notevole eterogeneità a livello delle Regioni, relativamente alle prestazioni erogate e al personale disponibile, che evidenziano una disparità di trattamento e di accesso agli interventi per le persone con problemi di salute mentale e per le loro famiglie per il diverso investimento nelle risorse”.

Nonostante le criticità, la psichiatria e il territorio vanterebbero diversi punti di forza. “Occorre valorizzate – prosegue il Presidente della SIP – le buone pratiche esistenti a livello locale, favorendo il confronto, l’accreditamento tra pari e forme di collaborazione e programmare a livello nazionale e regionale finanziamenti per la realizzazione di interventi integrati con l’impiego congiunto di risorse sanitarie, sociali, finalizzate all’inclusione dei pazienti dei Dipartimenti di Salute Mentale e dei loro familiari, nonché delle associazioni che li rappresentano, nel tessuto sociale in una logica di empowerment”.

“Questi obiettivi – conclude Zanalda – si possono realizzare ascoltando le necessità dei pazienti e dei familiari che chiedono di disporre di modelli organizzativi e terapeutici moderni, di Centri di Salute Mentale ben attrezzati con personale formato e fortemente radicati nelle comunità, una maggiore integrazione con i servizi sociali e sanitari per promuovere inclusione e cittadinanza; la riallocazione delle risorse dalla residenzialità di lungo periodo verso la domiciliarità; sarebbero utili progetti di cura personalizzati con tecnologie avanzate sia farmacologiche che psicosociali al fine di perseguire l’autonomia e la recovery dei pazienti che potrebbero così giungere all’integrazione lavorativa e sociale, divenendo una risorsa e dando lotta allo stigma che ancora aleggia attorno alle malattie e ai disturbi mentali”.

Fonte Quotidiano sanità

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