“Sono 10,2 milioni gli italiani che fanno un maggiore ricorso alla sanità privata rispetto al passato, e di questi il 72,6% a causa delle liste d’attesa che nel servizio sanitario pubblico si allungano – ha detto Marco Vecchietti, amministratore delegato di Rbm Assicurazione Salute -. Bisognerebbe ripensare le agevolazioni fiscali per le forme sanitarie integrative, per assicurare tutte le prestazioni che oggi sono pagate di tasca propria dagli italiani e per rimuovere le penalizzazioni di natura fiscale per i cittadini che decidono su base volontaria di assicurare la propria famiglia. La sanità integrativa è oramai un’esigenza per tutti gli italiani e non può più essere considerata un benefit per i lavoratori dipendenti o un lusso per i più abbienti”.

Sono 7,1 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno fatto ricorso all’intramoenia (il 66,4% di loro proprio per evitare le lunghe liste d’attesa). Il 30,2% si è rivolto alla sanità a pagamento anche perché i laboratori, gli ambulatori e gli studi medici sono aperti nel pomeriggio, la sera e nei weekend. Pagare per acquistare prestazioni sanitarie è per gli italiani ormai un gesto quotidiano: più sanità per chi può pagarsela.La sanità negata aumenta ancora. Erano 9 milioni nel 2012, sono diventati 11 milioni nel 2016 (2 milioni in più) gli italiani che hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie nell’ultimo anno a causa di difficoltà economiche, non riuscendo a pagare di tasca propria le prestazioni. Al cambiamento “meno sanità pubblica, più sanità privata” si aggiunge il fenomeno della sanità negata: “niente sanità senza soldi”. Riguarda, in particolare, 2,4 milioni di anziani e 2,2 milioni di millennials.

Lo scadimento della qualità del servizio sanitario pubblico. Per il 45,1% degli italiani la qualità del servizio sanitario della propria regione è peggiorata negli ultimi due anni (lo pensa il 39,4% dei residenti nel Nord-Ovest, il 35,4% nel Nord-Est, il 49% al Centro, il 52,8% al Sud), per il 41,4% è rimasta inalterata e solo per il 13,5% è migliorata. Il 52% degli italiani considera inadeguato il servizio sanitario della propria regione (la percentuale sale al 68,9% nel Mezzogiorno e al 56,1% al Centro, mentre scende al 41,3% al Nord-Ovest e al 32,8% al Nord-Est). La lunghezza delle liste d’attesa è il paradigma delle difficoltà del servizio pubblico e il moltiplicatore della forza d’attrazione della sanità a pagamento.

Tra pubblico in crisi e privato in crescita, avanza la sanità integrativa. Sempre secondo il Censis, il 57,1% degli italiani pensa che chi può permettersi una polizza sanitaria o lavora in un settore in cui è disponibile la sanità integrativa dovrebbe stipularla e aderire. Così si otterrebbero anche benefici pubblici, perché molte persone utilizzerebbero le strutture private, liberando spazio nel pubblico, e perché così si inietterebbero maggiori risorse nel sistema sanitario. Sono ormai più di 26 milioni gli italiani che si dicono propensi a sottoscrivere una polizza sanitaria o ad aderire a un Fondo sanitario integrativo. Se la sanità integrativa attraesse effettivamente tutte queste persone, considerando una spesa pro-capite pari all’attuale spesa privata media nel complesso, si avrebbero 15 miliardi di euro annui per la salute. Tramite la sanità integrativa si potrebbero acquistare molte più prestazioni per i cittadini di quanto riescano a fare oggi singolarmente sui mercati privati. Tra gli aderenti alla sanità integrativa, il 30,7% ha aderito perché spendeva troppo di tasca propria e ora risparmia, e il 25% perché la copertura è estendibile a tutta la famiglia.

Esami e visite inutili? Non toccate il mio medico. Sono 5,4 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno ricevuto prescrizioni di farmaci, visite o accertamenti diagnostici che si sono rivelati inutili. Tuttavia, il 51,3% degli italiani si dichiara contrario a sanzionare i medici che fanno prescrizioni inutili. Riguardo alla legge che fissa le condizioni che rendono una prestazione sanitaria necessaria e da pagare solo con il ticket, e non per intero, il 64% degli italiani è contrario (di questi, il 50,7% perché ritiene che solo il medico può decidere se la prestazione è effettivamente necessaria e il 13,3% perché giudica che le leggi sono motivate solo dalla logica dei tagli). Il decreto sull’appropriatezza è diventato una tigre di carta e tuttavia la sua logica incontra l’ostilità dei cittadini, che sostengono la piena autonomia decisionale del medico nello stabilire le terapie, anche come baluardo contro i tagli nel sistema pubblico.(fonte Redattore Sociale)

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