Nella depressione esistono importanti differenze di genere: “Le donne nel corso del loro ciclo di vita presentano un rischio più alto di sviluppare una malattia depressiva, con una prevalenza che è circa il doppio rispetto agli uomini. Studi recenti, inoltre, indicano che la depressione perinatale – che si manifesta nel periodo che precede o segue immediatamente la nascita e fino a 12 mesi dopo il parto – è frequente e si attesta su una media del 13% delle donne in gravidanza o nel periodo del post-partum”. A tracciare il quadro di una malattia tanto complessa è Antonio De Giovanni, psichiatra e direttore sanitario di Brain&Care Group, nell’ambito del corso ECM (residenziale e live streaming) su ‘L’approccio clinico integrato e la rTMS in ambito neurologico e psichiatrico’, in corso oggi a Rimini e promosso da LetscomE3 in collaborazione con  Brain & Care Group.

La depressione è una condizione che va distinta, secondo lo specialista, “da una reazione depressiva di breve durata, nota come ‘baby blues’, che raggiunge la massima espressione nei primi 3-4 giorni dopo il parto e tende a svanire generalmente entro le prime due settimane. La depressione perinatale presenta, in particolare, sintomi più intensi e persistenti ed è il risultato di una complessa interazione tra meccanismi endocrini e diversi fattori di vulnerabilità, con gravi conseguenze per la salute della donna stessa, per i suoi figli e per l’intera famiglia”.

LOrganizzazione mondiale della sanità (Oms) durante la pandemia ha posto particolare attenzione sulla malattia depressiva, indicandola come la principale causa di disabilità nella popolazione occidentale e la seconda causa di invalidità per malattia dopo i disturbi cardiovascolari. “Nel mondo ne soffre circa il 5% degli adulti- sottolinea lo psichiatra- Si tratta inoltre di un disturbo che non in rari casi tende a ripresentarsi nel corso della vita, tanto che studi recenti segnalano una probabilità di ricaduta dopo un episodio depressivo compresa in un range tra il 35% e il 65% dei casi”. Sono disponibili diverse possibilità di trattamento, che vanno dalla terapia farmacologica alla psicoterapia, alle tecniche di Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), ma “occorre ricordare che circa il 70% delle forme di depressione risulta resistente al trattamento farmacologico e che ancora oggi- afferma il direttore sanitario- nonostante la presenza di svariate opzioni farmacologiche, esistono ancora ‘unmet needs’ (bisogni insoddisfatti) nel trattamento, soprattutto nell’area dei sintomi cognitivi, nei pazienti anziani e nelle donne in gravidanza”.

Come si può curare la depressione perinatale? “Di primaria importanza è la messa in atto di efficaci misure preventive per consentire una diagnosi precoce- avvisa Di Giovanni- Occorre tener conto che tutti gli psicofarmaci attraversano la barriera placentale, pertanto la decisione di attuare un trattamento farmacologico va ponderata valutando non solo i rischi dell’esposizione al farmaco, ma anche il rischio dell’impatto della depressione della madre sul nascituro. In questo contesto l’uso delle Tecniche di Stimolazione Magnetica, che si sono dimostrate altamente efficaci e prive di effetti collaterali nella cura dei disturbi depressivi, può rivestire un ruolo terapeutico molto importante nelle donne alle prese con le forme di depressione perinatale. L’impiego di un protocollo, TMS come di qualunque altra terapia medica, deve avvenire tuttavia nel contesto di un progetto terapeutico integrato con tutte le professionalità competenti, in un’equipe multidisciplinare, mai tralasciando gli interventi fondamentali di sostegno psicologico e supporto familiare”.

Che cosa è la TMS? La TMS (stimolazione magnetica transcranica) è una tecnica di stimolazione cerebrale non invasiva, vale a dire priva di effetti collaterali e indolore, in grado di modulare l’attività della corteccia cerebrale attraverso la generazione di impulsi magnetici. “Si tratta di una tecnologia utilizzata ormai da più di 35 anni sia come metodica di studio del sistema nervoso che come strumento terapeutico di comprovata efficacia nella cura delle sindromi depressive, del disturbo ossessivo compulsivo, nelle varie forme cliniche dello spettro fobico-ansioso. Un altro campo di applicazione è rappresentato dal trattamento di alcune patologie neurologiche come la malattia di Parkinson e la malattia di Alzheimer”, conclude lo psichiatra. 

La TMS uno strumento in più contro Parkinson e Alzheimer

 “Il 35-40% dei pazienti con malattia di Parkinson soffre di depressione. Un disturbo che, in queste persone, ha una doppia causa: una base reattiva (reazione emotiva e psicologica alla diagnosi), una base organica (la perdita di dopamina, caratteristica di questa malattia, influisce su regioni cerebrali connesse con la regolazione dell’umore, quindi con l’emotività). Una sfida importante nel trattamento della depressione nei pazienti con malattia di Parkinson è l’insorgenza di effetti collaterali con i comuni farmaci antidepressivi, perché molto spesso sono controindicati se assunti contemporaneamente ad alcuni farmaci dopaminergici. Inoltre, la risposta terapeutica dei pazienti parkinsoniani con depressione non è sempre ottimale. La Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) si inserisce come un trattamento non farmacologico adiuvante, che può agire sulle aree cerebrali disfunzionanti che stanno alla base dei sintomi depressivi e che ha dimostrato efficacia terapeutica”. A illustrare le potenzialità della TMS nel trattamento dei malati di Parkinson, e in generale delle patologie neurodegenerative, è Graziella Madeo, neurologa e direttrice dell’Unità di Neuromodulazione e Ricerca Clinica del Centro clinico Brain&Care e co-responsabile scientifico del Corso ECM Residenziale e Live streaming su ‘L’approccio clinico integrato e la TMS in ambito neurologico e psichiatrico’, promosso da LetscomE3 in collaborazione con Brain&Care, in corso oggi a Rimini.

La TMS e le patologie neurodegenerative – Conosciuta fin dal 1985, negli ultimi vent’anni “la TMS sta offrendo nuove prospettive terapeutiche nel campo delle patologie causate da una perdita progressiva e irreversibile delle cellule nervose. “Purtroppo, ad oggi, non abbiamo terapie risolutive, nel senso che i farmaci non bloccano il processo che porta le cellule a morire. Per questo la ricerca e la clinica si stanno orientando verso metodiche in grado di controllare e rallentare i sintomi di queste patologie- sottolinea la specialista- migliorando la qualità di vita dei pazienti. La TMS si pone proprio in questa prospettiva, come uno strumento adiuvante di terapie già esistenti, anche nell’ambito delle patologie neurodegenerative più diffuse, Parkinson e Alzheimer”.

   La malattia di Alzheimer può colpire almeno il 5% delle persone con più di 60 anni e si stima che in Italia ci siano 500mila malati. Un numero che nel 2050, secondo gli esperti, potrebbe triplicarsi. La malattia di Parkinson è la seconda malattia neurodegenerativa più diffusa, colpisce in età adulta, ma ci sono molti casi prima dei 40 anni. I dati sull’incidenza riportano 12 casi ogni 100mila abitanti.

La TMS e la malattia di Parkinson – Il Parkinson è conosciuto come una ‘malattia del movimento’: tra i sintomi ricorrono il tremore a riposo, la rigidità, la bradicinesia (lentezza dei movimenti ndr) e l’instabilità posturale. Ma in realtà è una patologia molto più complessa e variegata, caratterizzata anche da sintomi non motori (depressione, ansia, disturbi cognitivi e dolore) che possono precedere di anni quelli motori. “Quando parliamo dell’applicazione della Stimolazione Magnetica Transcranica è importante distinguere, allora, tra ciò che possiamo fare per l’aspetto motorio e ciò che, invece, possiamo fare per la parte non motoria”, sottolinea Madeo.

   È molto importante affiancare i diversi protocolli di trattamento: terapie già esistenti, che non sono solo quelle farmacologiche, la riabilitazione neuromotoria e la TMS. I risultati migliorano con l’approccio integrato. “La stimolazione magnetica agisce sulla plasticità sinaptica, che è la base del nostro apprendimento e del nostro recupero. Abbinandola a un continuo riapprendimento motorio, gli effetti saranno più consistenti ed evidenti. Gli studi dimostrano, infatti, che la stimolazione di aree connesse con il controllo cognitivo del movimento migliora i sintomi di rigidità e di bradicinesia e ha effetti positivi su un fenomeno del cammino che si chiama ‘freezing della marcia’. Parliamo della difficoltà che molti malati vivono nel fare il primo passo nonostante la loro intenzione di camminare, sulla quale la terapia dopaminergica non è sempre efficace”, ricorda Madeo. I benefici della TMS “permangono a un mese dal termine del trattamento, ma essendo il Parkinson una patologia cronica e progressiva è consigliabile fare cicli di mantenimento”.

La TMS e la malattia di Alzheimer – “Nel caso della malattia di Alzheimer- spiega la specialista- c’è una degenerazione delle aree temporo-parietali, dove ha sede la nostra memoria. Quando la malattia progredisce può interessare altre aree cerebrali e provocare ulteriori sintomi. La TMS si inserisce innanzitutto in una fase iniziale, in cui il cervello ha ancora delle risorse e in cui ci sono delle aree che possiamo stimolare per il recupero di una funzione o l’attivazione di una azione suppletiva, in sostituzione dell’area cerebrale che non funziona più bene. Recenti studi hanno chiarito che stimolando nelle fasi iniziali della malattia una regione del cervello che si chiama pre-cuneus, si verifica un miglioramento delle funzioni di memoria episodica e a breve termine”.

Come funziona la Tms – La Transcranial Magnetic Stimulation, in italiano stimolazione magnetica transcranica, è una metodica non invasiva di rimodulazione dell’attività cerebrale. “Questa tecnica utilizza degli impulsi magnetici che vengono inviati attraverso una bobina appoggiata sulla testa. La

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