“Creare occupazione significa creare welfare sociale e integrazione”. Ne è convinta Evelyn Pereira, imprenditrice di origine peruviana, in Italia da otto anni e da quattro alla guida della startup Takeve, che impiega donne nel delivery con un approccio ecologico, etico e sostenibile. Il progetto ha ottenuto lo speciale riconoscimento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della festa dell’8 marzo 2022, tra le “Giovani donne che progettano il futuro”. Una esperienza che Pereira ha illustrato nel corso della presentazione a Roma dell’ultima edizione del dossier ‘Immigrazione e imprenditoria’, realizzato dal centro studi Idos in collaborazione con Cna.
All’agenzia Dire, Pereira spiega: “Crediamo fortemente nell’occupazione femminile e nella rigenerazione di certi settori come il delivery”. Quindi ricorda: “Ho creato Takeve durante la pandemia e si vedeva aumentare i rider, ma praticamente solo uomini”. Un settore che Pereira definisce “poco etico”. Proprio per questo, sottolinea, “ho ideato un modello unico che si distingue dalla maggior parte delle grandi piattaforme, che impiega sia donne italiane che straniere a cui sono garantiti corsi di formazione, contratto e tutele”. In Italia, ricorda Pereira, “il 65% dei rider sono stranieri, spesso senza contratti regolari di lavoro. Sono esposti a incidenti sul lavoro che a volte costano la vita; l’Ue sta cercando di porre un freno ma non basta ancora”. Le lavoratrici di Takeve, continua Pereira, hanno invece accesso a “corsi di lingua italiana, sulla normativa vigente o sul codice della strada“. Per incrementate la formazione, l’imprenditrice ha fondato anche una no profit, sempre dedicata alle donne straniere, Plase – Platform for Sustainability and Equality. “Realizziamo corsi di gastronomia di alta qualità e che valorizzano conoscenze ancestrali, dando skill avanzate per esempio in ottica di rigenerazione alimentare e ‘no waste’” dice Pereira. “Abbiamo già formato 20 persone”.
GRECO (IDOS): ‘TREND IN CRESCITA, VA SOSTENUTO’
“Bisogna sostenere le imprese immigrate” afferma Antonio Greco, vicepresidente di Idos e curatore del rapporto, che evidenzia le 647.797 entità alla fine del 2022, rappresentando così il 10,8% del totale nazionale, rispetto al modesto 7,4% del 2011. Tuttavia, ostacoli burocratici, scarsa conoscenza della lingua oppure il mancato riconoscimento delle lauree frena le aspirazioni dell’imprenditoria straniera. Per l’esperto suggerisce: “Si potrebbe stimolare maggiormente il collegamento tra imprenditori stranieri e autonomi coi loro territori d’origine, anche per rilanciare il made in Italy nel mondo. Poi, rimuovere gli ostacoli burocratici per gli stranieri, facilitando anche l’accesso ai dati per la ricerca. Infine, supportare le differenze culturali ma anche il potenziale d’innovazione” degli stranieri in Italia, intercettando “gli altamente qualificati”.
CAPPELLINI (CNA): L’ITALIA INVECCHIA, I MIGRANTI SONO UNA RISORSA PER LE PMI
“L’Italia invecchia e serve un motore che spinga la crescita. In Italia ci sono milioni di migranti, e attraverso il nostro rapporto notiamo un potenziale – sia come lavoratori che come imprenditori – che spesso resta inutilizzato e inespresso, che invece andrebbe impiegato e valorizzato”, anche col sostegno “del sistema scolastico”. Lo sottolinea Claudio Cappellini, responsabile delle Politiche Ue per Cna nazionale. Cappellini si è soffermato su alcuni dei numeri più interessanti della ricerca. “In Italia l’83% degli stranieri vengono assorbiti dalle piccole e medie imprese. Questi dati vanno illustrati all’opinione pubblica, spesso
disorientata da informazioni fuorvianti, ma anche alle imprese che sono in cerca di manodopera”.
GORI (CHIESE EVANGELICE): LASCIAMOCI ISPIRARE DAI CORRIDOI UMANITARI
Giulia Gori, della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, evidenzia il modello dei corridoi umanitari, con cui si portano rifugiati in Italia attraverso canali legali e sicuri. “Osservando le persone selezionate”, dice Gori, “il meccanismo ci dimostra quante competenze, esperienze e ambizioni i rifugiati portano con sé“. Ma lungaggini e ostacoli burocratici “lasciano i rifugiati senza riconoscimento, in attesa per mesi del permesso di protezione speciale”, senza il quale tanti diritti sono preclusi, come quello al lavoro. Gori cita dunque il “decreto flussi”, che prevede circa 500 ingressi all’anno per imprenditori stranieri, ma “raramente raggiunge quella cifra. Il report Idos-Cna chiarisce che l’imprenditoria straniera è un fenomeno endogeno, cioè sappiamo che stranieri già presenti in Italia decidono di mettersi in gioco”.
Quanto all’ingresso dei lavoratori stranieri, continua la studiosa, “vale il ‘sistema quote’, ossia gli imprenditori fanno richiesta di manodopera straniera. Ma il problema è che non possono farlo sempre, ma in giorni specifici dell’anno, i cosiddetti ‘click day’”, istituiti dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione col ministero dell’Interno. Gori ricorda che nel corso dell’ultimo, “le circa 136mila quote disponibili si sono esaurite in pochi minuti. Sappiamo che le richieste sono state oltre 600mila, quindi oltre 400mila imprese – dalle grandi a quelle a conduzione familiare – sono rimaste senza manodopera”, creando così un problema alla funzionalità delle imprese e perfino “incrementando verosimilmente il lavoro nero”.
CONGI (MINISTERO LAVORO): BUROCRAZIA DEVE ESSERE AL PASSO COI TEMPI
“Il decreto flussi non funziona bene” e “la burocrazia è lenta e non al passo coi tempi”, conferma Stefania Congi, direttrice generale Immigrazione e politiche di integrazione del ministero del Lavoro. La dirigente osserva ancora: “Ma tra le oltre 600mila domande presentate ci siamo accorti che una parte sono finte: alcune nascondono richieste di ricongiungimenti familiari, oppure arrivano da territori dove sappiamo che il mercato del lavoro non è florido. Questo governo è intervenuto con vari interventi: per esempio ha consentito di convertire il permesso per studio e tirocinio in permesso di lavoro. Inoltre stiamo realizzando progetti con enti locali come città metropolitane e regioni. C’è consapevolezza del tema e della mancanza di pari opportunità”.