“Scarsa fiducia nelle mie capacità in quanto giovane donna“. “Un titolare che mal tollera la presenza femminile in azienda e che ha bisogno di un capro espiatorio”. “Donna in una azienda che in proporzione ha più uomini, molti dei quali maschilisti“. “Credo che alla base sia stato il colore della mia pelle e anche che le persone con contratto subordinato vengano viste come usa e getta”. “In alcuni casi l’azienda applica il mobbing per ottenere le dimissioni di lavoratrici diventate indesiderate“. “Da donna a donna sentiva il bisogno di affermare la sua supremazia”. “Certe persone cercano di salire di livello non con le proprie competenze ma cercando di abbassare quelle degli altri”. “Dopo 15 anni nell’ufficio legale volevano mandarmi in magazzino a spuntare le bolle“. “Da 10 anni subisco mobbing nell’azienda in cui lavoro; da poco è cambiata la proprietà ma non va meglio, discriminata in quanto donna e non laureata”. “Parlo diverse lingue ma non sono laureata, il mio capo mi ha urlato davanti a tutti i colleghi ‘il mio culo nelle tue mani non lo metto. Qui non siamo in democrazia’“.
Sono alcune testimonianze raccolte dall’Osservatorio www.6libera.org, che ha avviato un monitoraggio sul tema delle molestie e delle violenze subite dalle donne sul luogo di lavoro nelle aziende italiane, attraverso questionari somministrati a lavoratori e manager. In soli tre mesi di indagine, con una prima sperimentazione pilota nelle aziende coinvolte, ad emergere è soprattutto un dato: solo il 6% delle donne vittime ne parla in azienda. Un dato reso ancora più grave dal fatto che ancora oggi l’ampiezza reale del fenomeno non è nota. “C’è un problema reale di silenzio estremamente importante- commenta Dhebora Mirabelli, presidente dell’Osservatorio- anche perché il 18% dei lavoratori assiste a molestie sui luoghi di lavoro e un terzo delle donne molestate dichiara che erano presenti colleghi”. Il 50% delle testimonianze raccolte hanno ad oggetto le molestie verbali. Il tutto avviene nell’80% dei casi nell’orario di lavoro e nel circa 90% delle volte nelle sedi di lavoro. “Il dato è allarmante- prosegue Mirabelli- perché evidenzia che politiche aziendali di prevenzione e contrasto mirate potrebbero realmente fare la differenza”.
Quando le vittime decidono di rivolgersi a un superiore, riferiscono di ricevere comprensione per il 63%, il 30% ha manifestato incredulità e solo il 7% ha agito in modo concreto. Questo perché la maggior parte dei datori di lavoro invita a rivolgersi alle autorità e non considera la possibilità di dotarsi di strumenti e organismi interni preposti alla soluzione del problema, come richiede il codice civile prima ancora che le norme internazionali ratificate come la Convenzione Internazionale ILO n.190 e la Raccomandazione n.206, entrate in vigore in Italia il 29 ottobre 2022 e, di cui ancora oggi si aspettano ancora decreti attuativi. “Si tratta di un problema culturale di cui politica, parti sociali e aziende non hanno precisa conoscenza- sottolinea ancora Mirabelli- Esiste la necessità di sistemi di monitoraggio qualificati per capire e far luce sui diversi aspetti del fenomeno e pianificare strumenti e interventi aziendali ad hoc capaci di entrare a far parte di policy aziendali acquisite come quelle incluse nel TU sulla sicurezza”.
Quindi, l’appello alle istituzioni: “Chiediamo al governo di concludere in fretta l’iter di riforma del TU sulla sicurezza con il recepimento effettivo degli indirizzi e strumenti internazionali ratificati in Italia con la legge n.4 del 2021 per dare risposte alle imprese etiche e socialmente responsabili e garantire tutela effettiva alle donne lavoratrici coinvolte; ma soprattutto auspichiamo che siano ascoltate le parti sociali e i destinatari di tali norme”, conclude la presidente dell’Osservatorio.