a cura dell’avvocato Simone Marani

In tema di atti persecutori, rientra nella nozione di molestia qualsiasi condotta che concretizzi una indebita ingerenza od interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione di un clima intimidatorio ed ostile idoneo a compromettere la serenità e la libertà psichica. Questo è quanto emerge dalla sentenza 28 luglio 2023, n. 32946 (testo in calce) della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.

Il caso vedeva un uomo essere ritenuto responsabile del reato di stalking commesso mediante condotta molesta riferibile all’invio, a più destinatari, di un messaggio WhatsApp contenente immagini e video a sfondo sessuale della vittima.

Con ricorso per Cassazione l’imputato contestava la riconducibilità della condotta alla fattispecie della “molestia” penalmente punibile, ex art. 660 c.p., non essendo consentito estendere la nozione di mezzo telefonico ai mezzi telematici ed evidenziando l’impossibilità che un unico invio di messaggi potesse integrare il fatto tipico.

Gli ermellini ricordano come l’elemento materiale della “molestia” sia costituito dall’interferenza non accettata che alteri dolosamente, fastidiosamente o importunamente, in modo immediato o mediato, lo stato psichico di una persona (


Cass. pen., Sez. I, 24 marzo 2005, n. 19718) e l’atto, per essere molesto, deve non solo risultare sgradito a chi lo riceve, ma deve essere anche ispirato da biasimevole, ossia riprovevole motivo o rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire nella sfera privata di altri attraverso una condotta fastidiosamente insistente e invadente.

La molestia può sussistere anche con una sola azione, purché particolarmente sintomatica dei motivi specifici che l’hanno ispirata; anche il compimento di un solo gesto, come nel caso di una sola telefonata effettuata con modalità rivelatrici dell’intrusione nella sfera privata del destinatario, può concretizzare la molestia penalmente rilevante, tale da rientrare all’interno della fattispecie di atti persecutori (Cass. pen., Sez. I, 7 novembre 2013, n. 3758).

Al telefono deve essere equiparato qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza, di voci e di suoni imposti al destinatario, senza possibilità per quest’ultimo di sottrarsi alla immediata interazione con il mittente posto che, ciò che è decisivo è il criterio dell’invasività del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario dell’azione perturbatrice (


Cass. pen., Sez. I, 27 settembre 2011, n. 36779).

Ciò che rileva è, quindi, il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita; ne costituisce che costituisce molestia anche l’invio di messaggi telematici, siano essi di testo (SMS) o messaggi WhatsApp (Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 2021, n. 37974).

Nella fattispecie i giudici territoriali hanno fatto buon uso di detti principi, ritenendo che le condotte poste in essere dall’imputato, realizzate con l’invio tramite WhatsApp a più destinatari di foto e video a sfondo sessuale integrassero indubbiamente l’elemento materiale del reato posto che, pur attuate a mezzo di una unica trasmissione, certamente non gradita ai destinatari ed ispirate da un biasimevole motivo, integravano una forma di arbitraria intromissione nella sfera di libertà individuale della vittima ed una profonda interferenza nella sfera privata delle stesse.

Fonte Altalex

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