A due giorni dalla conferma della ‘zona arancione’ del Veneto, che impone il divieto di circolazione in altri comuni e con l’emergenza covid che ha determinato un crollo del 52% dei consumi, arriva da Scho l’invito ad Ascom di una presa di posizione per tutelare il commercio. “E’ l’ora dei diktat – ha detto Aldo Munarini, commerciante e assessore comunale – non possiamo più accettare che un sindacato che ha il dovere di farsi rispettare, e che rappresenta 5 milioni di partite Iva, vera anima economica del Paese, non alzi i toni del confronto con il Governo”.

La voce di protesta arriva mentre a Venezia si annuncia anche la chiusura del monomarca Nike (il colosso dell’abbigliamento sportivo), Nike vicino alla stazione di Venezia, al ponte di Calatrava, un punto di passaggio storicamente colossale me che, nell’anno del covid, è stato spesso deserto.

Guido Xoccato, presidente di Confcommercio del mandamento di Schio, chiede una riflessione: “Se chiudono i negozi di Nike figuriamoci i piccoli”.

A febbraio la chiusura definitiva, per un punto vendita che tutti davano per solido, vista la location e anche visto il marchio.

Xoccato si associa a Confcommercio Veneto nel condannare la decisione di far rimanere il Veneto in zona arancione.

“Delusi è dire poco, arrabbiati, sconcertati – ha affermato il presidente regionale Patrizio Bertin – La verità è che i commercianti speravano di rientrare in zona gialla, ovvero in ‘socialità sostenibile’. Invece niente: si resta arancioni e con bar e ristoranti chiusi anche i negozi restano praticamente deserti. Eppure i dati giustificavano il passaggio di zona. Il governo ha il dovere di decidere, non è accettabile che si trinceri, quasi che la cosa non lo toccasse, dietro i report del Cts. Evidentemente a Roma interessa molto di più il corteggiamento ai ‘costruttori’ che non i volumi d’affari delle imprese ormai ridotti al lumicino. Nei prossimi giorni – ha informato il leader di Confcommercio – vedrò col presidente Luca Zaia quali strade intraprendere per uscire definitivamente da una condizione di incertezza che sta minando anche la salute mentale di chi non sa cosa potrà fare domani, nonostante, diligentemente, siano mesi che accetta tutti i dettati e poi, puntualmente, viene obbligato a chiudere”.

Secondo Munarini però le riflessioni non bastano, è l’ora di agire: “In questo momento storico così drammatico, anche dal punto di vista economico, è ancora più evidente che le azioni sindacali intraprese, come spesso accade per la nostra categoria, non vedano il risultato che noi tutti ci aspettavamo di ottenere, e che avremmo avuto il diritto di ottenere. Qui c’è gente veramente ridotta allo stremo, moltissime imprese chiuderanno le loro porte, e non possiamo più accettare che un sindacato che ha il dovere di farsi rispettare, e che rappresenta 5 milioni di partite Iva, vera anima economica del Paese, non alzi il tono del confronto con il Governo e non ponga dei diktat oltre i quali , se non si otterranno precisi ristori economici, non si accetti nessun altra situazione se non quella di una presa di posizione dura che preveda anche azioni fiscali estreme”. Parole che trovano d’accordo anche Renato Corrà, storico commerciante ed ex amministratore di Thiene, che ha commentato: “Bravo Aldo. E’ ora di alzare i toni da parte di Confcommercio. Vedremo alla fine quanti soci rimarranno. Per prima cosa occorre cambiare lo statuto bulgaro”.

Anna Bianchini

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