È morto oggi a 58 anni Gianluca Vialli, da cinque anni lottava contro un tumore. Un “ospite indesiderato” che è arrivato nel 2017 e non è andato più via, nonostante a tratti fosse rimasto in silenzio acquattato in un angolo. Il tempo di illudere. Gianluca Vialli all’inizio aveva provato a nascondere la malattia, indossava maglioni e felpe sotto la camicia per non far capire che stava dimagrendo, “perché non vorresti mai far soffrire le persone che ti vogliono bene”. Poi, è arrivato il tempo di dire a tutti che era malato. Un cancro al pancreas, non la più semplice delle diagnosi se per assurdo ci fosse una classifica di peggio e meno peggio del buio chiamato tumore. L’uomo ha vacillato e poi ha ripreso le energie per riprendere il cammino, fiaccato sì, ma con la voglia disperatissima di andare il più avanti possibile. “Voglio ispirare le persone. Voglio che qualcuno mi guardi e dica ‘grazie a te, non ho mollato’, ha scritto nel 2018 nel suo libro ‘Goals’. Una formula matematica dove gol sta un po’ meno al calcio e un po’ più al futuro. Meno reti da segnare, più ‘Obiettivi’.
Non a caso il sottotitolo è ’98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili’. Che obiettivo difficile deve essere stato pensare al ‘dopo’ cercando di restare lucidi e positivi. “Ho meno tempo per essere un esempio, adesso che so che non morirò di vecchiaia”, raccontò in una intervista tv pensando alle sue figlie che – confessò – sperava tanto di poter accompagnare all’altare. Davanti ad Alessandro Cattelan e a milioni di telespettatori tirò fuori la ricetta della felicità, quella che tutti cercano e pochi trovano. La regalò senza chiedere nulla in cambio, perché a un certo punto nella vita tutto prende un significato diverso. “La felicità dipende dalla prospettiva con cui guardi la vita, non ti devi dare delle arie, devi ascoltare di più e parlare di meno. Ridere spesso, aiutare gli altri. Questo è il segreto”.
Sulla retorica ormai sgonfiata e ammuffita del ‘guerriero che vince/perde la lotta al cancro’, disse la sua: “Non è vero che il cancro è questo grande nemico da sconfiggere, non è una lotta per uccidere lui. E’ una sfida per cambiare se stessi”. Né vincitori né vinti da annotare su una cartella clinica, solo trionfatori nella sublimazione della vita. Certo detta così pare facile. Non lo è. Ma se non si può scegliere di vincere una partita, si può sempre scegliere come giocarla. Anche la scelta di scrivere un libro faceva parte del progetto. Vialli si decise dopo mesi e mesi di cure difficili, quando confessava di sentirsi “molto bene. È passato un anno e sono tornato ad avere un fisico bestiale, ma non ho ancora la certezza di come finirà la partita”. Ma intanto si gioca. La chemio durissima, poi gli esami che accendono il semaforo verde: “Non ci sono segni di malattia”. Vialli si coccola la sensazione ovattata nella prudenza. La strada verso la completa guarigione è ancora lunga ma riparte dalle piccole – grandi – cose. “Normalità significa vedersi di nuovo bene allo specchio e osservare i peli che ricrescono. Non devo più disegnarmi le sopracciglia a matita”. Piano piano, senza quasi farsi accorgere, lo spazio per nuovi progetti si era già allargato, il richiamo della normalità si era fatto più forte e a un certo punto irresistibile. Il suo ‘gemello’ Roberto Mancini è il Ct azzurro, ci sono gli Europei di calcio, ecco la pazza idea: ‘Luca vieni pure tu’.
Nel novembre 2019 la Figc lo nomina capo delegazione della Nazionale e si parte per un altro viaggio. Come è finito quello, lo sappiamo tutti: la missione è compiuta e c’è una cartolina dal paradiso. La felicità sta tutta nell’abbraccio stretto di Wembley, dopo l’ultimo rigore che consegna il trofeo all’Italia. Mancini e Vialli che si avvolgono nella gioia, Gianluca che appoggia la testa sulla spalla di Roberto e piange. Roberto che mischia le lacrime a quelle dell’amico. “Penso che il fatto di stare insieme e di pensare al calcio, che è il nostro lavoro da sempre, lo abbia fatto stare bene”, la tesi di ‘Mancio’. Quell’immagine resta fortissima, mentre la magia a poco a poco sbiadisce. Un anno fa, dicembre 2021, “l’ospite” è uscito dall’angolo. “E’ ancora con me, a volte più presente, altre meno”, dice Vialli. “Spero mi possiate sopportare ancora per tanti anni, sono fiducioso ed ottimista, chi mi circonda mi trasmette forza e coraggio”. Nel marzo scorso pure la bacchetta magica del calcio si spezza, con l’Italia che non si qualifica ai Mondiali. Lo spazio “dell’altro”, di tutto quello che non è malattia, si riduce. L’ospite si siede sul divano e piazza i piedi sul tavolino, mettendosi a guardare in tv il film di cui è regista. Vialli capisce, e tutto quel che può fare è premere il tasto pausa, chissà per quanto. “Al termine di una lunga e difficoltosa ‘trattativa’ con il mio meraviglioso team di oncologi ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri”, scrive in un messaggio affidato alla Federcalcio il 14 dicembre scorso. Ventritrè giorni fa. Voleva tutte le energie per continuare a camminare, nonostante tutto. Perché, come aveva scritto ancora nel suo libro, “ai colpi della vita i perdenti rispondono ‘perché proprio io? I vincenti rispondono ‘mettimi alla prova’”.