L’investimento che lo Stato italiano affronta per formare i suoi cittadini rimane esiguo, anzi, si assottiglia: lo certifica l’Ocse attraverso i risultati dei test Programme for international student assessment (Pisa) – Invalsi 2015 che continuano a dire che il divario di preparazione dei nostri studenti 15enni “resta nelle retrovie per le competenze tra i 35 Paesi aderenti all’organizzazione”.
“L’Italia – scrive l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – investe circa 81mila euro a studente tra i 6 e i 15 anni, vicino alla media Ocse di 84mila euro. Tra 2005 e 2013, tuttavia, la spesa pubblica per studente è calata di circa l’11% in termini reali, mentre nella media Ocse dei Paesi con dati disponibili è cresciuta del 19%”.
Numeri non certo incoraggianti per il mondo della scuola, così come per quello civile. L’Italia stenta ad adeguarsi agli altri Paesi moderni. Il dimensionamento scolastico, con 4mila istituti autonomi tagliati su 12mila, l’aumento progressivo del numero di alunni per classe, gli incessanti tagli operati dagli ultimi governi, anche nei confronti degli enti locali, fanno parte dello stesso comun denominatore orientato al risparmio nel settore Istruzione. Nel computo, si possono inserire pure i sempre “magri” stipendi di docenti e Ata, oltre che dei dirigenti scolastici: ne risulta che nella Penisola ci si ritrova con un davvero troppo esiguo investimento sull’istruzione rispetto al Pil, tanto da confermarsi tra i più bassi del vecchio Continente.
Anche secondo i dati Eurostat, l’Istituto statistico della Commissione europea, l’Italia si trova all’ultimo posto per la spesa pubblica destinata alla formazione tra i paesi dell’Unione europea (7,9% nel 2014 a fronte del 10,2% medio dell’Ue). Lo Stivale si posiziona, inoltre, al penultimo posto per la spesa destinata alla cultura con 1,4% a fronte del 2,1% medio dell’Unione europea. Seguendo la percentuale sul Pil, la spesa dell’Italia investita nel settore dell’educazione è pari al 4,1% a dispetto del 4,9% medio dell’Ue.
A livello universitario non va meglio: l’Italia è l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente, contro un aumento in media del 62% degli altri. Nelle università, si registra una perenne situazione di stand by con sempre meno iscritti, troppi studenti fuori corso e un numero altissimo di cultori, assegnisti, dottori di ricerca, ricercatori (figura a esaurimento) e quasi-docenti in perenne attesa di fare il “salto” negli organici accademici.
Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario confederale Cisal, crede che “per ripartire e rilanciare il mondo dell’Istruzione oggi, in Italia, è indispensabile operare un’inversione di marcia: bisogna guardare a questo mondo con occhi diversi, considerando le risorse per scuola e università non più come una spesa (non lo sono mai stati), ma come un investimento per il futuro dei cittadini di domani. Se non cambieremo atteggiamento, resterà immutata anche la situazione, già tragica, per ammissione del ministero dell’Economia, secondo il quale la spesa pubblica per l’Istruzione rispetto al Pil sarà in continuo calo almeno fino al 2035, passando dal 4% al 3,2%, per poi risalire, ma solo leggermente, fino al 3,4% almeno fino al 2060”.
“Sappiamo bene che un giovane ben formato e preparato è una risorsa per il suo Paese che ha investito proprio su quella formazione, non solo per la cittadinanza, ma anche per rilanciare lo sviluppo economico. Spendere di più nell’istruzione, equivale a credere nella capacità civilizzatrice dei cittadini. Ciò risulta indispensabile per creare una società sempre più equa, basata sui principi dell’uguaglianza e della crescita”, conclude il sindacalista Anief-Cisal.