“Giudicare una persona è una cosa davvero molto brutta, e usare una parola come ‘mongoloide’ è una mancanza di rispetto verso tutti i ragazzi che come me hanno un cromosoma in più. Io odio i pregiudizi e ne sono stata vittima, soprattutto a scuola. Poi mi sono diplomata al liceo scientifico con 82/100 e oggi so fare tante cose. Quindi l’appello che lancio è: non giudicate!”. Irene Galli, ragazza 24enne con sindrome di Down, parla chiaro e lo fa guardando il pubblico presente alla conferenza stampa che si è svolta questa mattina a Roma, in Campidoglio, in occasione della Giornata mondiale della sindrome di Down che si celebra il 21 marzo. L’appello di Irene è rivolto a tutti: politici, giornalisti, cittadini. È un appello a superare gli stereotipi, proprio come vuole il tema di quest’anno della Giornata mondiale: ‘Stop agli stereotipi‘. L’obiettivo è, infatti, superare le concezioni limitanti e preconcette che spesso circondano le persone con sindrome di Down. Come per esempio l’idea diffusa che siano incapaci di avere rapporti interpersonali che possano portare ad amicizia, fidanzamenti o matrimoni o quella che dovranno sempre vivere con i genitori e poi con i fratelli. Molti passi sono stati fatti per superare questi stereotipi, ma la strada è ancora lunga.
Per ‘fare di più’ in favore delle persone con sindrome di Down, nell’ottobre 2020, in occasione del 4° convegno scientifico nazionale su ‘Sindrome di Down: dalla Ricerca alla Terapia’, è nata la Task Force per la sindrome di Down (DS Task Force). “È un gruppo di persone, soprattutto ricercatori, provenienti da diversi settori, con l’obiettivo di operare in favore delle persone con sindrome di Down, facilitando lo sviluppo di idee, creando nuove opportunità, rispondendo a domande e risolvendo problemi. I suoi membri operano a livello internazionale, fornendo rilevanti contributi in organismi quali la T21RS e la Fondazione Jérôme Lejeune. La Task Force ha come obiettivi generali: migliorare la qualità ed accrescere la quantità della ricerca scientifica sulla sindrome di Down; promuovere la divulgazione scientifica e l’interazione tra ricercatori, associazioni e famiglie; migliorare la qualità della vita delle persone con sindrome di Down”, ha spiegato nel corso della conferenza Lucio Nitsch, professore emerito di Biologia Applicata, Università di Napoli Federico II e coordinatore della Italian Down syndrome Task Force.
“Attualmente- continua Nitsch- la Task Force sta aggiornando le linee guida sul management della sindrome di Down e partecipa alla creazione di un Registro Nazionale della sindrome di Down. È, inoltre, tra gli organizzatori della Conferenza internazionale della T21RS che si terrà a Roma dal 5 all’8 giugno 2024”.
“La famiglia resta il fulcro dell’assistenza, anche in età adulta. Secondo l’indagine ‘Non uno di meno’ di Censis e Aipd Associazione italiana persone down, in molti vivono in ambito familiare, soprattutto con i genitori (55,3%) o con genitori e fratelli (36,6%), a seconda dell’età. Tra i più anziani è significativa la percentuale di chi vive con i fratelli e/o la loro famiglia (26,2%). Si capisce, quindi, come le questioni collegate, ossia caregiver, progetto di vita e dopo di noi, risultino fondamentali. Non a caso, per quanto riguarda i caregiver, da sempre Anffas ha evidenziato che il familiare e caregiver non va inteso come persona costretta a sostituire la carenza di servizi integrati su un dato territorio, che vanno sempre garantiti, ma come chi si pone spontaneamente al fianco della persona con disabilità e in sinergia con la rete integrata di servizi. Si rende quindi necessario costruire attorno alla persona con disabilità e al suo caregiver un sistema integrato di interventi, servizi e prestazioni e ri-pensare un welfare di comunità. Un obiettivo a cui come Anffas lavoriamo costantemente anche attraverso la partecipazione al ‘Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari’ istituito dal ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli e dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Calderone”, ha spiegato Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas.
“Gli stereotipi sono dannosi perché generano pregiudizi che influenzano pesantemente le prospettive e le potenzialità delle persone con sindrome di Down, agendo negativamente su autostima e sviluppo– ha rimarcato Gianfranco Salbini, presidente Aipd- Lo stereotipo più comune è che le persone con sindrome di Down sono sempre felici, eterni bambini e incapaci di portare a termine compiti specifici. E questo nell’ambito lavorativo limita fortemente le opportunità di chi vive questa condizione, alimentando un ambiente di discriminazione ed esclusione. Eliminiamo i pregiudizi e iniziamo a riconoscere il loro pieno valore e le loro possibili potenzialità. Ogni persona con sindrome di Down ha delle proprie passioni e delle proprie capacità da offrire alla società”.