Vivere la vita da barista, con i suoi alti e bassi, con la sua frenesia, orari infernali, ondata di clienti e all’improvviso il sereno. Non è facile gestire un bar, non lo è  in termini economici né gestionali, ma come dice Federica Mioni, 57 anni che a Mosson di Cogollo del Cengio gestisce il suo Centro Bar da ben 28 anni, ‘essere barista è prima di tutto una vocazione’. Un’attività che ha 125 anni, è stata fondata da Marco Pozza e Santina Pozza. Agli inizi era un panificio, negozio alimentari e bar.  Al suo arrivo 28 anni fa, Federica ha deciso di dare spazio al bar aggiungendo una chicca in più per darle il suo tocco personale. La sua è la gestione più lunga tra quelle di questo locale, posizionato proprio davanti la chiesa di Mosson e la sua testimonianza è un inno a questa professione.

Sono 28 anni di gestione, una bella soddisfazione…

“Non mi rendo conto degli anni che sono passati, come barista sono 35 anni, prima del Centro Bar lavoravo alle dipendenze e in quegli anni mi sono ‘fatta le ossa’, ho imparato a gestire un bar e il mestiere, ma devo ammettere che bisogna essere anche portati. Non è come una volta che al bar si andava con molta leggerezza, per farsi due risate, a bere qualcosa in compagnia. In questi ultimi anni soprattutto dopo il lockdown, per le persone è tutto più pesante e difficile, le persone hanno bisogno soprattutto dell’ascolto. Anche davanti ad un caffè una persona può restare un’ ora a sfogarsi, gioie e dolori ma soprattutto tante difficoltà. E il bar è un luogo semplice e intimo dove è possibile restare in pace con i propri pensieri. Poi se trovi il barista che in quel momento è disponibile all’ascolto, a meno che non abbia molto da fare, inizi a condividere con qualcuno quei pensieri, sfogandoti. Io se sono libera ascolto volentieri”.

Molti bar chiudono perché non c’è più un ricambio generazionale, i giovani faticano ad avere interesse nel fare dei sacrifici come alzarsi presto al mattino, gestire un locale con orari estesi, concentrazione e molto movimento. Pensa che sia davvero così?

“Sì è proprio così, ma credo che non siano anche incoraggiati dallo Stato, aiuta poco e ci ha aiutato poco anche nel lockdown. Anche i giovani che si fermano con me a chiacchierare, mi dicono che hanno paura di affrontare tutto questo ed è un peccato perché i bar sono importanti, soprattutto nelle piccole frazioni per tenere vivo il paese, ci agganciamo ad eventi del comune”.

Immagino non sia facile gestire tutto. Cosa significa fare la barista?

“Secondo me la chiave della mia lunga gestione è servire con grande entusiasmo, professionalità e sorriso, accolgo dal bambino all’anziano allo stesso modo, senza differenza. Al mattino io apro con entusiasmo, credo che la gente si accorga della differenza, quando non sono accolti o non desiderati in quel momento. E’ una vita di sacrificio, io ad esempio sono sempre presente, si lavora alle feste e sicuramente la stanchezza fisica si fa sentire. Devi ‘sentirlo’ questo lavoro, altrimenti non lo fai. Ma che dà soddisfazione, per me sì è una vocazione. Quelli che si improvvisano baristi pensano che il cliente entra, consuma, spende ed esce. Mentre invece non è così. Cercano umanità. Non è più come gli anni 70-80 fino ai primi anni 2000 dove il bar veniva vissuto come momento goliardico di ritrovo, ora il cliente cerca altro. Economicamente questi ultimi anni sono molto difficili, ci si deve delle volte accontentare e bisogna soprattutto sapere gestire la parte economica. Ogni giorno non entra la stessa goccia, questa è la difficoltà. Ed è importante anche la locazione del bar perché in città entra di tutto prima o poi, ma nei paesi non è così”.

E quindi bisogna reinventarsi per portare quel qualcosa in più ai propri clienti come ha fatto lei giusto?

“Oltre ai prodotti freschi, proporre prodotti di qualità, avere uno snack bar veloce sì ma di qualità senza dare per scontato nulla. All’interno del mio bar ho una chicca, dal 2016 ho una libreria bellissima e fornita e organizzo serate culturali dove invito scrittori, poeti, e trattiamo storia, narrativa, o serate a tema. Quando ho preso in mano il bar l’ho stravolto, l’ho adattato alla mia essenza. Per me è fonte di inspirazione e grande soddisfazione, arricchisce me stessa ma anche gli altri. Tra le particolarità che posso citare, sono un punto di partenza per gli escursionisti della montagna, nella libreria ho tutte le cartine dei sentieri delle montagne del Monte Cengio e quelle che ho attorno. Collaboro con il gruppo ‘Montagne Solidarietà APS’, un gruppo che va a ripristinare gli antichi sentieri e il mio bar è un punto di aggancio per escursioni o per serate a tema montagna. Io stessa sono appassionata di trekking e alta quota. Ho il libro dei Sentieri Fantastici di Giulia Stenghele e quando arrivano famiglie propongo le sue escursioni, le indico soprattutto a famiglie con bambini”.

Ha visto una differenza di tipologia di clientela dal momento in cui ha inserito la libreria?

“Sì, le serate a tema hanno fatto conoscere il mio locale a studiosi e medici che prima non conoscevo, si è allargata la clientela, anche di qualità. La passione per la lettura l’ho sempre avuta fin da piccola infatti a casa ho una mia libreria personale. E’ nata perché sentivo di dover fare qualcosa di diverso. I miei colleghi fanno molte cose come musica, karaoke, per carità tutte attività molto belle. Ma io sentivo di dover fare qualcosa di diverso. E una mia cliente e amica, ha scritto un libro e ho pensato di presentarlo nel bar. E’ stata un’idea che è arrivata di getto e che ho strutturato successivamente. La mia libreria è fatta di bancali di legno, è molto semplice ma ha dentro tanta cultura. Quando ho chiesto il patrocinio gratuito all’amministrazione comunale mi hanno sottolineato che è rara questa cosa che ho realizzato, perché solitamente viene richiesta in biblioteche o sale culturali. Invece a me hanno dato la lode perché dentro ad un bar è stata considerato come qualcosa di speciale. Non chiedo nulla all’amministrazione, faccio tutto io ma tengo con orgoglio ancora le loro parole. Ho servito il caffè a persone di rilievo, come il gruppo musicale ‘I Nomadi’, il figlio del ‘Giusto delle Nazioni’ Giorgio Perlasca, Enrico, l’alpinista degli 8000 Tarcisio Bellò, il campione pattinatore sul ghiaccio Enrico Fabris, la premiata banda musicale ‘Millennium Band’ e molti altri. In 28 anni ne ho vista di gente!”

La connessione che si crea con i suoi clienti la portano spesso a dare conforto. Ha qualche particolare aneddoto da raccontare?

“Ci sarebbero tanti aneddoti, ma posso dire che mi fanno molta tenerezza le donne che mi vengono a raccontare dei loro problemi a casa, oppure uomini che si separano e raccontano delle problematiche che devono affrontare. Loro hanno bisogno dell’ascolto e io cerco di esserci sempre. Ma ci sono anche momenti ludici, di divertimento. Ricordo ad esempio l’anniversario dei 25 anni. Il primo giorno di apertura è stato quello dell’Epifania, e per il venticinquesimo mi sono vestita da befana e ho scritto un grande cartello che recitava: “25 anni con voi, grazie di cuore a tutti”. È stata una giornata bellissima, indimenticabile. Sono anche la madrina, con tanto di taglio del nastro, del sentiero mappale 666 che porta da Mosson ad Asiago”.

Se tornasse indietro rifarebbe questa scelta?

“Assolutamente sì. Ho un fratello medico che mi dice sempre che io ho una laurea in mano, perché il bar mi ha dato tanto, alti e bassi ma tanto arricchimento. Sono curiosa, disponibile. In questi anni ho perso anche persone care come i miei genitori, non è stato sempre facile. Ma il sorriso non deve mai mancare”.

 

Laura San Brunone

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