Un secolo di vita, vissuta tra suprusi, ingiustizie, angherie, violenze come prigioniero di guerra dei tedeschi. La rivincita di Presicci Angelo originario di Talsano provincia di Taranto ma residente a Thiene, ha spento 100 candeline giovedì 04 maggio al fianco della sua compagna di vita da 74 anni, la moglie Campo Arcangela di 98 anni e a tanti parenti, tra figli, nipoti e pronipoti. Invitati al centenario dalla figlia Cristina, il sindaco di Thiene Giampi Michelusi e il vicesindaco Anna Maria Savio i quali per l’occasione hanno consegnato un quadretto come riconoscimento per questo importante traguardo di vita oltre ad una lettera. “E’ stato un momento bellissimo di festa, – ha dichiarato la vicesindaco – abbiamo sentito il calore della famiglia, il Sig. Angelo era circondato da tanti parenti. Insieme alla moglie Arcangela formano una stupenda coppia, ci ha fatto molto piacere ricevere l’invito, siamo stati molto contenti, coinvolti e partecipi. Davvero una bella famiglia”.

“Siamo venuti a Thiene, prima di tutti io e mio marito per lavoro, – spiega al figlia minore Cristina – poi i genitori ci hanno raggiunto attorno ai loro 70 anni per aiutarmi con la gestione dei miei figli durante le ore di lavoro. Poi il tempo è passato e abbiamo deciso di farli vivere con noi, si sono fatti più grandi e abbiamo sentito tutti la volontà di stare tutti insieme qui, così che potessi ricambiare il favore e poterli accudire io, godendomeli ancora. Inoltre nella sua vita ha subito così tante ingiustizie che non mi sembrava il caso di lasciarli in una casa di riposo. Per quanto possano essere utili, nel suo caso sarebbe stata l’ennesima prigione”.

Angelo era appena ventenne a quell’epoca quando la marina militare di Taranto ha imbarcato molti giovani per arruolarli per la guerra del ’43. Partiti, imbarcandosi da Venezia, hanno salpato verso l’ignoto. Sapevano che sarebbero andati in guerra, ma talmente erano giovani e spensierati che hanno preso sottogamba questa missione di vitale importanza, non avevano paura piuttosto nell’aria si respirava un certo spirito d’avventura. Durante la navigazione in mare aperto, gli aerei tedeschi bombardarono la nave che affondò. Per fortuna erano tutti dotati di un giubbotto di salvataggio che permise loro di sopravvivere in mare per due giorni, con una bottiglia d’acqua da un lato e una di whisky dall’altro, mentre i pesci pizzicavano i loro piedi. I sottomarini tedeschi li intercettarono e andarono a recuperano i sopravvissuti per farli loro prigionieri. Stremati dalla fame, arrivano nella città di Erfut dove avviene lo smistamento per i campi di concentramento, e Angelo venne trasferito a Burgfurst, dove fu subito messo ai lavori forzati, lavoro duro di 16 ore no stop se non di più, senza mangiare. Iniziò a dimagrire, a deperirsi, perché solo raramente riusciva ad avere un po’ di pane e acqua o bucce di patata da mangiare. Ormai in fin di vita, i tedeschi lo presero e lo portarono in uno degli ospedali lì vicino. Fortuna volle che in questo ospedale si trovava un medico di bordo partito con lui, i dottori più bravi non venivano collocati ai lavori forzati, bensì impiegati in centri di cura. Il dottore lo riconobbe e lo prese sotto la sua ala, fece di tutto per mandarlo a lavorare in una fabbrica di zucchero, consigliandogli di mettere qualche zolletta di tanto in tanto in bocca. In questa fabbrica c’erano uomini e donne, anche tedeschi civili al lavoro, tra cui una ragazza che aveva anch’essa il marito in guerra. Questa donna ha avuto un ruolo fondamentale nella vita di Angelo: ebbe un occhio di riguardo per lui, ogni tanto gli portava un panino e così facendo riuscì a riprendersi. Un giorno i tedeschi annunciarono ai lavoratori della fabbrica di prepararsi che da lì a breve li avrebbero liberati, ma questa donna mise in guardia Angelo, dicendogli che li avrebbero sicuramente portati alla morte. Riusci quindi a portarlo via dalla fabbrica in un momento di confusione e lo fece scappare, rifugiandolo a casa sua, sotto una botola. L’uomo attese così pazientemente l’arrivo degli americani che lo portarono in salvo e tornò in patria.

Prima della sua partenza, Angelo era già sposato da qualche anno con Arcangela che nel frattempo, ormai senza speranze come i suoi suoceri perché non giungeva loro alcuna notizia, si fidanzò con un altro uomo. Un giorno Angelo raggiunse il campo del padre e lì la gioia nel ritrovarsi fu incontenibile, straziante. All’inizio suo padre non lo riconobbe, era arrivato a pesare solo 35 kg, tanto che il dottore gli disse di riprendere lentamente a mangiare, a piccole dosi per riabituare lo stomaco ormai rimpicciolito. Quando Arcangela seppe che Angelo era tornato, lasciò il fidanzato che aveva e tornò con suo marito.“Mio padre ad oggi non vuole vedere cibo sprecato, perché si ricorda di quello che ha vissuto. Nonostante tutto quello che ha passato, soprusi, ingiustizie, angherie, violenze, è riuscito a resistere e tornare accasa, arrivando addirittura a cento anni. Il padre eterno lo sta ricompensando di tutto quello che ha dovuto subire”.

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Laura San Brunone

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