“Si è trattato di una colata di detrito rapida. Ma la sua magnitudo sembra molto importante sia per la dimensione dei singoli massi sia per la quantità di detrito trascinato a valle dalla frana”. E per dare l’idea di quello che è successo e di cui si sta parlando “dobbiamo ricordare che questa frana è stata ricaricata a monte da una sequenza di eventi alluvionali (primo tra tutti Vaia nel 2018) che hanno accumulato decine di migliaia di metri cubi di detrito, sia alimentata dal progressivo disfacimento di ammassi rocciosi piuttosto fratturati. Ricordando che in occasione di Vaia non sono discese colate, possiamo intuire la quantità di detrito che si è accumulata”. Il presidente dell’Ordine dei geologi del Venet
In una zona dove sia la Provincia di Belluno che la Regione Veneto, hanno realizzato diverse opere, tra cui la briglia “sabodam”, la canalizzazione delle acque di deflusso, arginature, il ripristino del bacino di contenimento a valle, sistemi di monitoraggio, la sistemazione della “piazza alta” per la prima delle colate. E sono in progetto altre opere di completamento.
Ma quando il valore delle opere di difesa supera quello dei beni difesi, “bisogna chiedersi se vale la pena realizzare nuove opere di difesa oppure dislocare i beni da difendere. È durissima da digerire, ma è così”. Il presidente dei geologi veneti insiste: “Possiamo solo mitigare i pericoli e diminuire i rischi per beni e le persone. Ma eliminarli del tutto è impossibile. Esiste sempre un rischio residuo che in molti casi può essere reputato accettabile. Tutto il fianco ovest della dorsale che corre tra l’Antelao, Croda Marcora e Sorapiss è esposto al pericolo di colate e proprio a causa di questi eventi, le cronache riportano periodicamente i nomi di Borca, Cancia, Chiappuzza, Ru del Vencio, Dogana Vecchia, Acquabona. Si tratta di frane che nel loro tratto terminale generano morfologie dolci, moderatamente acclivi, in un certo modo attrattive per lo sfruttamento, tanto che gli abitanti hanno da sempre convissuto con il pericolo di colate“.
Giachetti precisa che un allarme preventivo grazie alle previsioni meteo non è possibile. “Le previsioni meteo si portano dentro una tara d’origine: se lancio tutti gli allarmi ho elevate probabilità di indovinare l’evento meteo infausto, ma anche di introdurre un errore del 60% di falsi allarmi, perciò alla fine esse divengono inaffidabili. Viceversa se lancio pochi allarmi ben accurati la qualità della previsione è molto affidabile, ma non colgo tutti gli eventi infausti. È da illusi pensare che una previsione possa risolvere tutto”. Per i geologi è “importante” sviluppare modelli matematici per la previsione dei fenomeni quali frane e colate, ma il modello “da solo (ammesso che sia valido) non basta. È necessario conoscere la complessità geomorfologia del territorio, senza la quale produciamo modelli zoppi e monitorare costantemente la geomorfologia del territorio”, conclude Giachetti.
