Quali saranno gli effetti del ‘decreto dignità’ in Veneto se entrerà in vigore nella formulazione approvata il 2 luglio scorso dal Consiglio dei ministri e prossima all’approdo in Parlamento? A questa domanda risponde il report dell’Osservatorio di Veneto Lavoro, l’ente strumentale della Regione Veneto per le politiche sul lavoro, che ha proiettato le novità legislative e contrattuali sulla situazione attuale del mercato del lavoro veneto.
Le principali modifiche previste dal decreto riguardano la riduzione della durata massima del contratto a tempo determinato (anche in somministrazione) da 36 a 24 mesi, l’obbligo di dichiarare la causale al superamento dei 12 mesi, la diminuzione del numero di proroghe possibili da 5 a 4 (da 6 a 5 per i contratti di somministrazione) e un aumento del costo contributivo dello 0,5% ad ogni rinnovo.
Secondo i ricercatori di Veneto Lavoro, se il decreto dignità oggi fosse legge, riguarderebbe circa 80 mila rapporti di lavoro, su un totale di 617 mila rapporti a tempo determinato e di somministrazione attivi nel 2017. La stima di 80 mila è ottenuta proiettando le novità legislative sulla platea dei 617 mila potenziali destinatari (contratti a termine e contratti di somministrazione), depurata dal numero dei contratti di durata inferiore ad un anno in quanto non interessati, degli stagionali, degli operai agricoli e dei rapporti di lavoro nella pubblica amministrazione (esclusi dalle novità del decreto), della quota di rapporti di lavoro di durata superiore ai 24 mesi che – se il decreto fosse già legge – non sarebbero stati sottoscritti e dei rapporti che nel 2017 sono stati trasformati in tempi indeterminati.
A conti fatti – calcola Veneto Lavoro – il decreto dignità avrebbe effetti diretti su circa il 26% del lavoro a termine presente in Veneto nel 2017. Il decreto non influirebbe invece sul 74% del lavoro a tempo determinato o in somministrazione registrato in Veneto, in quanto trattasi di contratti di durata inferiore a un anno, o che riguardano operai agricoli o la pubblica amministrazione, o relativi al lavoro stagionale, per ora escluso dalle modifiche introdotte dal governo.
Riguardo ai possibili sviluppi futuri, il report di Veneto Lavoro cerca di delineare quali potrebbero essere le risposte delle imprese ai cambiamenti normativi previsti. Le ipotesi più probabili sono un aumento del turnover dei lavoratori per la stessa posizione, oppure una riduzione del lavoro a termine, senza però poter prevedere se questa si tradurrà in un trasferimento verso altre tipologie contrattuali o in una pura diminuzione dei livelli occupazionali.
Gli scenari possibili tracciati dai ricercatori di Veneto Lavoro sono quattro, legati ai possibili orientamenti dell’azienda:
- nessun cambiamento per contratti inferiori ai 24 mesi, se il costo aggiuntivo previsto in caso di rinnovo (su una retribuzione lorda mensile di 1.800 euro sarebbe pari a 9 euro) e l’obbligo di causale non fossero considerati un ostacolo dalle imprese;
- un maggiore turnover dei lavoratori, qualora le imprese intendessero aggirare i vincoli imposti dal decreto per rapporti di durata superiore ai 12 mesi. In questo caso potrebbero, soprattutto per impieghi poco qualificati e per i quali si registra un’abbondante offerta di lavoro, assumere due (o più) lavoratori nell’arco dei 24 mesi, anziché protrarre il rapporto con lo stesso lavoratore fino ai due anni;
- uno spostamento verso altre forme contrattuali, quali apprendistato, lavoro autonomo, tempo indeterminato, senza poter determinare se si andrebbe verso una maggiore precarietà o, al contrario, verso lavori più stabili;
- una riorganizzazione più estesa della filiera produttiva esternalizzando le necessità di flessibilità, o intensificando l’impiego di forza lavoro aziendale.
“Il decreto dignità è come una medaglia a due facce – commenta l’assessore regionale al lavoro, Elena Donazzan – Il Veneto monitorerà passo passo l’impatto di un provvedimento che, se entrerà in vigore nella formulazione attuale, comporterà una significativa modifica del mercato del lavoro”.
“Le ricadute del provvedimento ‘dignità’, che allo stato attuale un quarto dei contratti di lavoro a tempo determinato in essere nella nostra regione, potrebbero essere diametralmente opposte – sottolinea l’assessore – Se l’impatto fosse quello auspicato dal governo, ci troveremmo di fronte a maggior apprendistato o alla preferenza, da parte delle aziende, di contratti a tempo indeterminato e quindi più stabili; se così fosse, aumenterebbe la forza lavoro interna all’azienda”.
“Ma se gli esiti fossero quelli preconizzati dal mondo imprenditoriale – prosegue l’assessore – la riduzione del tempo massimo (da 36 a 24 mesi) per un contratto a tempo determinato, potrebbe produrre un turnover spinto, maggiore esternalizzazione di comodo (attraverso cooperative o società altre) e quindi maggiore precarietà. In particolare, per i lavori a bassa qualifica, uno scenario di questo tipo significherebbe un’alta rotazione di personale, aggravando così la condizione di grande fragilità di questo segmento occupazionale”.
“Ecco perché – conclude l’assessore – la Regione Veneto, e in particolare il mio assessorato con i suoi osservatori, sarà in prima fila nel misurare effetti e ricadute delle nuove regole su contratti a termine e contratti di somministrazione”.
a cura dell’Ufficio Stampa della Regione Veneto