“Italia Anno zero”. Difficile trovare un nome più adatto alla riunione annuale di Confindustria Vicenza, che si è tenuta sabato 3 ottobre a Schio, nella sede della Gps dell’industriale scledense Daniele Grotto.

Sul palco relatori di primo piano del mondo del lavoro italiano, che si sono succeduti in una serie di interventi nei quali era evidente un minimo comune denominatore: l’attacco alla classe dirigente che governa a Roma, che ha visto praticamente tutti d’accordo: il governatore del Veneto Luca Zaia, il presidente di Confindustria Vicenza Luciano Vescovi, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi e la docente di economia alla Luiss Veronica De Romanis. Meno risoluto ma altrettanto critico Maurizio Landini, segretario generale di Cgil, che pur criticando il mondo dell’industria e cercando di mantenere la discussione sul tema del lavoro, non si è perso in lodi per il governo e ha rivendicato il ruolo della politica nelle decisioni.

Con Vicenza seconda provincia in Italia dopo Milano nell’export, con 7.815 milioni di euro e l’Europa tra i maggiori destinatari dell’esportazione (Germania in testa), la sede di Schio è stata ritenuta adatta proprio per quel piglio tutto vicentino di adattarsi ai cambiamenti, di aggredire la sfida, di tirare fuori le unghie, di rimettere in gioco la propria attività anche di fronte alla difficoltà, di avere il piacere di investire nel proprio territorio per partecipare alla vita sociale e contribuire alla costruzione dei servizi.

L’industria vicentina non si è fermata durante la crisi, il covid e il lockdown e pur avendo registrato un -23,1% rispetto al secondo trimestre del 20149, gli imprenditori sono andati avanti, garantendo un crollo dell’occupazione minore rispetto al crollo produttivo. Un periodo “straordinario”, durante il quale è emerso l’impatto della politica e si è rivelato necessario avere un apparato decisionale di primo piano.

Quello che secondo gli industriali manca totalmente in Italia. A sferrare il primo attacco al governo un sorprendente Luciano Vescovi che, forse anche spinto dal fatto che per lui fosse l’ultima assemblea da presidente, ha sfoderato gli artigli: “Con governo e sindacati abbiamo rilevato una rigidità clamorosa – ha esordito – Uno dei problemi principali per le aziende è che manca personale specializzato ma per chi è in cassa integrazione non si può fare né specializzazione né formazione per riconvertire la professionalità. Rigidità contrattuali che abbiamo il dovere di superare”. Vescovi ha poi contestato le misure assistenzialiste messe in atto dal governo, con reddito di cittadinanza in testa alla lista delle cose che “non vanno bene”. “Non dobbiamo chiedere tutto a tutti, ma usare fondi per il rilancio del paese. Il capitale umano è alla base delle nostre aziende, nel contesto sociale si cresce insieme. Il covid è stato uno tsunami – ha continuato condividendo le parole della giornalista Mariangela Pira – ma è anche l’occasione per correggere tutte le strutture, anche a livello europeo. C’è collaborazione tra stati, la Germania sa che non può ripartire senza l’Italia ad esempio, ma è anche l’occasione per riprendere in mano l’industria di qualità”.

smart

Contro sussidi, reddito di cittadinanza e bonus finanziati con debito pubblico anche Veronica De Romanis, docente Luiss Guido Carli e Stanford University di Firenze, che con numeri alla mano ha spiegato: “Il reddito di cittadinanza è stato finanziato con 20 miliardi di debito e abbiamo visto che è andato per lo più a single e a persone che non avevano grandi problemi, non è andato a famiglie numerose o con gravi carenze. Lo stesso è accaduto con i vari bonus, elargiti a sussidio. Anche questi sono andati prevalentemente a persone che non versavano in gravi difficoltà economiche, ma sono finiti alla parte più benestante della popolazione”.

L’attacco al governo

“Chi vive nei palazzi del potere non deve mettersi contro le industrie, perché le industrie contribuiscono alla tenuta dello strato sociale – ha evidenziato Vescovi – Non vogliamo soldi dello Stato a babbo morto, vogliamo prospettive. Non ha senso fare debiti per distribuire soldi a pioggia se non ci sono progetti. Noi italiani siamo eccellenti, ma a livello mondiale non arriviamo al top perché c’è un inceppamento nella classe dirigente nazionale. La classe dirigente nazionale fa pena. Se una persona vuole fare carriera politica, cominci dal fare il consigliere nel suo comune, poi l’assessore. Poi cresca e faccia carriera. Ma non si possono ricoprire ruoli istituzionali di alto livello se non si sa cosa significa esercitare quel ruolo. Non si possono insegnare agli altri cose che non si sanno”.

Anna Bianchini

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su:
Stampa questa notizia