“Solo la cultura e la multiculturalità possono salvare l’Europa dalla barbarie jihadista”. Lo sostiene Samad Darmouch, fondatore dell’Associazione di mediazione interculturale Averroè. 45 anni, da 15 in Italia, marocchino musulmano, Darmouch ci ha scritto una lettera in cui, spiegandoci i perché della jiha’d, vuole sottolineare un concetto preciso: “Islam e islamismo sono 2 cose diverse”.

I recenti fatti di Parigi e le continue guerre in Medio Oriente non lasciano tregua nell’immaginario collettivo scatenando a getto continuo un profondo odio religioso e culturale tra ‘padroni di casa’ e ‘ospiti’.

 

Succede anche nell’Alto Vicentino dove, anche se non si sono vissuti in prima persona atti di terrorismo come quelli della ‘Ville Lumiéres’, il tam tam mediatico scatena giorno per giorno una sempre maggiore paura nei confronti di chi professa la religione musulmana.

Con video di bambini che uccidono a bruciapelo, teste che rotolano dopo un colpo di mannaia, donne nascoste agli occhi del mondo, Madonne distrutte e icone incenerite, il web sta scatenando il terrore. Samad Darmouch si è messo alla tastiera e da musulmano ci ha voluto spiegare da dove arriva tutto ciò.

“I nuovi Jihadisti hanno dichiarato l’Europa una da’r al-harb (campo di battaglia) – ha scritto Darmouch – minacciando l’etica morale, i valori universali e la libertà d’espressione. In realtà è iniziato tutto qualche anno fa, con gli attentati ai treni di Madrid dell’11 marzo 2004. Seguirono poi gli attentati alla metropolitana di Londra e l’assassinio in Olanda del regista Theo Van Gogh. Io però credo sia opportuno separare l’islamismo dall’Islam. L’islamismo è un movimento politico e ideologico che vede l’occidente come un nemico – ha spiegato – mentre l’Islam è la religione della pace possibile, dell’amore e della prosperità”.

Darmouch sintetizza il concetto, che però poi approfondisce: “Il rapporto tra islamismo e Islam si traduce nell’ostilità tra fondamentalisti e moderati, tra una tradizione religiosa e un’interpretazione ideologica della religione. L’insieme dei cattivi concetti scolpiti nella coscienza dei Jihadisti deriva da una voluta manipolazione del testo sacro islamico”.

Secondo Samad Darmouch “Il Corano riconosce la jiha’d (guerra santa), combattuta per rovesciare un governatore ingiusto. Invece, secondo la tesi fondamentalista, la jiha’d si fonda sull’ universalità della rivelazione musulmana, ed ha il compito di convertire o dominare i non credenti. E’ un obbligo che non conosce limiti di tempo o di spazio, e che deve essere adempiuto finché il mondo intero non abbia accolto la fede islamica”.

Secondo Darmouch l’occidente stesso ha in parte le sue responsabilità, alla base delle quali sta il sistema militare statunitense che conduce, a suo dire, guerre condotte in nome della morale e del diritto.

Alla fine di tutto, ciò che forse realmente conta, è capire se esiste un modo per riportare la pace tra le 2 fazioni, islamismo da una parte e occidente laico o cattolico dall’altra, in modo da far coesistere realtà diverse ma tutte appartenenti alla razza umana. Questa è l’opinione di Samad Darmouch: “L’Europa deve evitare uno scontro tra civiltà. Ancora una volta è venuta alla luce l’incapacità della politica (non solo italiana) di creare integrazione. L’Europa, e in particolare la Francia – ha spiegato – è vittima di attentati e di manifestazioni legati a questioni islamiste, perchè si è lasciata crescere in seno popolazioni immigrate che si rivela incapace di integrare. Solo la cultura può sconfiggere il terrore del fondamentalismo religioso. Personalmente – ha continuato – ho l’assoluta convinzione che si debba iniziare dal sistema scolastico europeo ed è molto urgente. Ora più che mai bisogna educare all’interculturalità, intesa come strumento adeguato per ridurre il divario culturale. Perché un qualsiasi straniero si possa integrare nel paese che lo

accoglie, c’è bisogno di un piano culturale. Quando il livello culturale è troppo basso, l’integrazione diventa molto difficile, se non addirittura impossibile, perché lo straniero si chiude nel suo mondo. Se invece – ha concluso – esiste una base culturale sulla quale lavorare e se il cittadino straniero ha voglia di stare bene nel paese dove si è spostato a vivere, allora ci sono le basi perché ci sia un’ottima convivenza’.

 

Anna Bianchini

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