Per sette anni si era negata al partner che si era dovuto rassegnare a dormire in una stanzetta separata. Ecco perché la Cassazione ha ratificato una sentenza che ha attribuito la colpa della separazione di una coppia fiorentina alla moglie M.T. che, dopo la nascita della figlia, si era rifutata di avere rapporti sessuali con il marito, trascurando anche la pulizia della casa.

Secondo la Suprema Corte, che ha respinto il ricorso della donna, “il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge – poiché, provocando oggettivamente frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner – configura e integra violazione dell’inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall’art. 143 c.c., che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale”. Di diverso avviso era stato invece il Tribunale di Firenze che, nel 2005, aveva dichiarato la separazione personale dei coniugi L.C. e M.T. sulla base del fatto che la “‘sedatio concupiscentiae’ non era l’unico esclusivo fine del matrimonio”. Tesi bocciata radicalmente dalla Corte d’appello fiorentina nel luglio 2007 e sottoscritta oggi dalla Cassazione.

Nel dettaglio, la Prima sezione civile – sentenza 19112 – ha bocciato il ricorso della moglie che si opponeva all’adebito della separazione e ha evidenziato che l’ssenza di sesso nella coppia “non puo’ in alcun modo essere giustificata come reazione o ritorsione nei confronti del partner e legittima pienamente l’addebitamento della separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l’esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato”. La moglie è stata inoltre condannata a rifondere le spese processuali sostenute dall’ex marito per un totale di mille euro. (adnkronos)

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