Metti che una mattina uno si svegli con la ricrescita in bella vista. Metti che non abbia prenotato il parrucchiere per tempo ma si ricordi di un appuntamento importante. Cosa succede? La prima cosa da fare, si sa, è provare a telefonare al parrucchiere di fiducia. E se fosse in ferie? Scatta il piano B e ci si reca di corsa in un salone in cui non si usa prendere gli appuntamenti.

 

Ma anche se c’è solo una persona al lavateste e una con il colore già applicato, ci si sente rispondere ‘Deve avere pazienza almeno un’ora perché non c’è personale’. Passato il momento di panico si mette in atto l’opzione C, capitando tra capo e collo da un parrucchiere sconosciuto fiduciosi che, con la crisi che c’è, davanti ad un cliente nuovo il posto lo si trovi. Ma ci si ritrova con un pugno di mosche davanti alla fatidica frase ‘deve prendere l’appuntamento’. Che fare allora? A malincuore arriva la scelta D e con la coda tra le gambe si va dal parrucchiere cinese. Dove c’è una sorpresa. Una fila di 12 persone, tutte rigorosamente italiane, che attendono in silenzio il proprio turno che, arriva puntuale per ognuno dopo meno di 10 minuti.

‘Io ci vengo sempre – spiega Ampelio Dal Lago, libero professionista che ha portato anche le 2 figlie – non ho mai tempo e qui mi sistemano in 10 minuti. Mi trovo bene e non ho nessun problema ad ammettere che sono un cliente abituale. Per Laura Mosele, impiegata in centro, è la stessa cosa: ‘Frequento il salone cinese da parecchio tempo. Porto il mio shampoo per tranquillità, ma molte mie amiche fanno anche il colore. Andavo dal mio parrucchiere (italiano) due volte la settimana, poi ho diminuito a una a causa del costo elevato. Ora vengo qui ogni volta che ne sento la necessità. Mi chiedo spesso – ha concluso – come mai così tanti italiani abbiano preso l’abitudine di farsi i capelli dai cinesi e penso sia semplicemente una questione di costi’. E il pericolo delle malattie di cui tutti parlavano fino a poco tempo fa? E la serenità di farsi fare colore, taglio e piega da mani sapienti che parlano la nostra lingua? Nessuno più sente più la necessità del ‘pettegolezzo da parrucchiere’? Pare proprio che queste siano cose di altri tempi. Nel salone cinese nessun parrucchiere parla italiano e nessun cliente parla cinese. Ma ci si capisce al volo usando gesti (pochi) e sguardi (ancora meno) e il pettegolezzo lo si cerca su twitter. Nessuno sembra temere che i prodotti usati siano cancerogeni o radioattivi, forse perché, avendo tutti in tasca telefoni cellulari con relative onde e nello stomaco prodotti non propriamente biologici, l’idea del prodotto chimico inquinante lascia il tempo che trova.

Ma come mai in una semplice mattinata di pioggia si trova tutta questa gente serenamente in attesa dal parrucchiere cinese? ‘Faccio i capelli qui ogni settimana – spiega Francesca Oriani, pensionata – perché pago poco e la piega è bella. Mi chiedono gli stessi soldi che mi chiedeva il mio parrucchiere quando c’erano le Lire. Capisco che siano aumentati i costi delle materie prime, io non voglio dare tutta la colpa ai parrucchieri italiani, ma se avessero prezzi più abbordabili io andrei sicuramente da loro’. La pensa così anche Federico Bonato, studente 20enne: ‘Io vengo solo per tagliarmi i capelli. Arrivo con lo shampoo già fatto per cui in 5 minuti ho finito e pago esattamente la metà. Preferirei andare dal mio parrucchiere italiano, perché in questi momenti di difficoltà sono convinto che siamo noi a dover essere i primi a darci sostegno uno con l’altro. Non ho niente contro le economie straniere, ma essendo italiano io, in casa nostra preferirei aiutare prima i miei concittadini’.

Nel salone cinese nessuno sembra far caso ai 4 dipendenti identici e interscambiabili. Nessuno si lamenta perché le riviste di gossip non sono aggiornate e sono posate sul pavimento. Nessuno si chiede siano vere le leggende metropolitane che raccontano di cinesi che vivono nelle cantine (come si legge sui giornali), che si scambiano i documenti tra di loro e che alimentano la malavita. Quando c’è la necessità si diventa tutti di bocca buona e ciò che un tempo pareva una seconda scelta, ora guadagna la pole position. ‘Colpa della crisi – dicono tutti – che ha fatto lievitare i prezzi ma non gli stipendi’. Colpa anche di un sistema che non sta al passo con i tempi e lascia che la catena si spezzi perché non salvaguarda i suoi anelli più deboli. Probabilmente, soprattutto colpa di chi chiede alle attività italiane di rispettare regole precise, mentre con alcuni stranieri si dimostra decisamente più elastico.

Anna Bianchini

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