Il cambiamento climatico e i suoi drammatici effetti come le inondazioni che in questi giorni stanno devastando il nord Europa sono una realtà concreta e misurabile, con un impatto sulle nostre vite, ma anche sulle nostre economie. Nel periodo che va dal 1995 al 2017, alluvioni, tempeste, siccità e terremoti hanno provocato degli shock economici negativi nell’Unione europea con un conseguente calo della produzione interna, causando quasi 77 miliardi di danni, di cui 43,5 miliardi di euro direttamente collegabili ai disastri naturali, e 33,4 miliardi di euro derivanti dai legami economici con le aree colpite da calamità naturali. La fotografia, piuttosto cupa, è restituita dal progetto di ricerca Titan, realizzato dal programma europeo Espon, specializzato in analisi delle politiche regionali.

Secondo i ricercatori, l’Europa centrale, orientale e sud-orientale è stata l’area relativamente più colpita da calamità naturali in termini economici. E tra i Paesi più esposti c’è anche l’Italia, dove a subire di più i colpi del cambiamento climatico spiccano l’Abruzzo e diverse province in Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio e Puglia. Non va comunque meglio sul versante occidentale europeo, dove a soffrire i maggiori danni sono state alcune aree nel Regno Unito, in Irlanda, Danimarca, Francia e Spagna.

Le tempeste di vento e le alluvioni sono, tra le calamità naturali osservate, quelle che hanno lasciato ricadute economiche e disastri più pesanti dietro sé. Tra il 1981 e il 2010, questi fenomeni hanno causato il 76% dei danni stimati dai ricercatori, seguiti da siccità e terremoti, ciascuno responsabile per il 24%.

Le regioni più interessate dalle calamità naturali non sono comunque necessariamente quelle che soffrono le maggiori perdite economiche. Francia e Germania, ad esempio, sono le aree più colpite dalla siccità, ma i danni più consistenti causati da questo fenomeno si registrano nei Paesi del Mediterraneo (Italia e Spagna su tutti), e dell’Europa centro-orientale (Romania e Ungheria).

“Le calamità naturali – scrivono i ricercatori – non sono equamente distribuite tra i diversi territori. A parità di pericolosità, il loro impatto può variare considerevolmente” a seconda della vulnerabilità di un determinato luogo. Una variante complessa da definire, composta da una molteplicità di fattori – sociali, economici, demografici, ambientali e di governance – che aiuta a capire perché una calamità naturale possa trasformarsi in una catastrofe. Secondo lo studio, i territori più vulnerabili e a rischio anche per il prossimo futuro si trovano nella regione baltica e nell’Europa orientale e meridionale. Aree definite “ad alta” e “molto alta” vulnerabilità nelle quali, complessivamente, si concentrano 116 milioni di persone su un totale di 528 milioni, pari al 22% della popolazione europea. Italia, Grecia, Romania e Bulgaria sono i Paesi che contano la maggior parte della popolazione residente in territori molto vulnerabili, seguiti da Spagna, Portogallo, Ungheria, Polonia e Francia.

 

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