Le frontiere chiuse per il coronavirus, un intoppo al Consolato Americano di Milano, un bambino che rischia di finire sulla sedia a rotelle per sempre se non potrà essere operato negli Stati Uniti entro poche settimane.

Quello che sta vivendo una famiglia della provincia di Vicenza è un incubo ad occhi aperti, con la soluzione a portata di mano, con l’intervento negli Stati Uniti già pagato, con la data dell’operazione fissata, ma con il Consolato Americano di Milano che non autorizza il viaggio.

Eppure, un bimbo sloveno, con lo stesso problema, è volato a Saint Louis due settimane fa senza nessun problema, è stato operato il 1 giugno ed è già in fase di riabilitazione, con esito positivo dell’intervento. Al consolato americano di Lubiana hanno trovato massimo appoggio e in pochi giorni sono partiti.

E’ la voce rotta della mamma di Davide (nome i fantasia per tutelare la privacy) a raccontare una storia che ha dell’incredibile. Trattiene le lacrime con la grinta di chi sa che, se lei cede, suo figlio potrebbe trascorrere il resto della vita su una sedia a rotelle, perché se anche farà l’intervento nei prossimi mesi, il quadro clinico potrebbe degenerare.

E non è nemmeno una questione di soldi, perché l’operazione, a carico totale della famiglia, è già stata pagata e in ospedale i medici aspettano solo Davide e la sua famiglia.

“Non so più che cosa fare per mio figlio, che ha solo 7 anni e rischia di rimanere danneggiato per sempre, so solo che devo lottare ancora con tutte le mie forze e trovare il modo di partire per gli Stati Uniti entro pochi giorni”. La mamma di Davide non cede. La voce traballa, ma trasmette una grinta travolgente e suona incomprensibile come, davanti ad un racconto così grave, non si sia mobilitato tutto l’apparato sanitario e istituzionale per darle una mano. E non si capisce perché il bimbo sloveno, con la stessa patologia, non abbia avuto problemi nel viaggiare con la sua famiglia fino in America, dove sono andati addirittura a prenderlo all’aeroporto assicurandogli tutto ciò che era necessario per accompagnarlo in ospedale e sottoporlo all’intervento.

La storia di Davide

“Mio figlio è nato prematuro, soffre di paralisi cerebrale infantile e ha problemi motori, ma fortunatamente non cognitivi – ha raccontato la mamma – Naturalmente, con i problemi che ha, fatica a muoversi, si trascina. Ma potrebbe saltare e giocare con sua sorella ed i suoi amichetti. L’intervento potrebbe renderlo autonomo, ma ci hanno detto chiaro e tondo che deve essere fatto a breve. In Italia non lo fanno, non per i problemi di mio figlio e ci hanno indirizzato a Saint Louis. Per quel tipo di operazione nostro figlio è il candidato ideale. L’intervento è a carico nostro, abbiamo chiesto un contributo alla Ulss ma non ce l’hanno dato. Ma non è questo il problema, per nostro figlio abbiamo trovato i soldi. L’intervento è già pagato, le carte sono tutte a posto. Il lockdown e la chiusura delle frontiere hanno rovinato tutto e l’intervento, che doveva essere a fine maggio è slittato al 1 luglio. Ma non ci fanno partire e dobbiamo partire a tutti i costi velocemente, altrimenti slitta tutto di un anno almeno e per Davide sarà troppo tardi”.

Poi la burocrazia, lo smart working e le difficoltà di comunicazione.

“Parlare con l’ambasciata è impossibile – ha continuato la mamma di Davide – Continuano a farci domande, rispondiamo, ci fanno nuove domande. Non finiscono mai. Uno scambio senza fine di e-mail e la situazione non si sblocca. Abbiamo già firmato tutte le  fatto garanzie finanziarie per stare là nel periodo che serve prima e dopo l’operazione. Abbiamo già pagato tutto, ma adesso voglio che il mio bambino faccia l’operazione. Abbiamo tutte le carte e i documenti pronti. Stamattina mi hanno chiesto informazioni sulla quarantena e ho i nervi a pezzi. Sono disperata, voglio operare mio figlio e dargli la possibilità di camminare, correre, saltare. La possibilità c’è, non posso accettare che non venga fatto l’intervento per degli intoppi burocratici. Perché dalla Slovenia sono partiti e dall’Italia no? Siamo considerati come la peste?”

La mamma di Davide è una donna educata. Da quando è nato il suo bambino sfortunato non ha fatto altro che lottare per lui. E continuerà a farlo. Ma ha bisogno di aiuto. Anche di qualcuno che intervenga dall’alto e possa fare la differenza nella vita di questo piccolo di soli 7 anni che non ha nessuna colpa”.

Anna Bianchini

foto dal web

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