L’inferno di cemento del ponte crollato a Genova ha scosso tutta Italia, che si pone in lutto nazionale. Scorrono le immagini della catastrofe e tolgono il fiato, mentre i soccorritori continuano a cercare altri eventuali dispersi, tra le macerie del ponte ‘maledetto’.
Sul viadotto Morandi di Genova, la mattina della tragedia, ci dovevano essere anche due thienesi: “Ci sentiamo miracolati”.

La testimonianza dei 25enni di Thiene Lisa Segalla e Stefano Capozzi, ancora provati. “Potevamo esserci anche noi, ma all’ultimo abbiamo deciso di non partire”.  Per la giovane coppia la settimana da passare a Genova rappresentava la tanto agognata vacanza, dopo un anno di lavoro. Un programma che proprio la mattina del 14 agosto prevedeva la tappa a Nizza, passando sul ponte.
“Siamo arrivati a Genova domenica scorsa e pernottiamo in un hotel, che dista appena 3 km dal ponte  -raccontano ancora provati Lisa e Stefano  – Quella mattina ci eravamo svegliati presto, e felici, perché volevamo andare in una Spa a Nizza. Giusto il tempo della colazione e poi, a bordo della nostra auto, avremmo dovuto prendere l’A10, l’autostrada che fa da sbocco alla città”.

“Dovevamo essere sul ponte quella mattina”
Pochi minuti che avrebbero potuto segnare  il loro destino, con Lisa e Stefano che alla fine cambiano idea: “No, piove troppo, meglio restare al calduccio”. Rinunciano quindi alla gita, mettono da parte la voglia di recarsi al centro benessere francese: “Eravamo già su booking per prenotare”, spiegano i due.
Mancava solo il click di conferma che li avrebbe potuti portare dritti all’inferno.  Un cambio di programma che li ha messi al riparo, da quella pioggia che sferzava la finestra della loro camera d’albergo, dalla tragedia qualche attimo dopo.

Solo più tardi capiscono. “Abbiamo capito di avere sfiorato una tragedia  – raccontano Lisa e Stefano  – Il rumore del crollo ha fatto pensare ad un tuono. Ora resta una città divisa in due, da est ad ovest, coi duecento metri di ponte che non ci sono più. Un crollo che ha lasciato un dolore muto”.
E una rabbia che cresce, quella dei genovesi soprattutto, come Lisa e Stefano ci riportano: “Un dolore generato da una tragedia che in molti davano come preannunciata –  spiegano i due  – Lo choc è forte e non diminuisce. Qua sono tutti paralizzati, e non solo in termini di viabilità.  Ci sono attività che da quel giorno non hanno più tirato su le serrande. Non ci riescono, sono provati per una catastrofe che si sarebbe potuta evitare. Per le condizioni di un ponte che lo rendevano impraticabile. Allarmi su allarmi che se ascoltati potevano risparmiare tutte le vittime. Questo stanno vivendo ora Genova”.

“Si respira terrore”
“Il viadotto a Genova veniva chiamato Ponte di Brooklyn, o ponte malato,  il che ti fa capire tutto – riportano quanto appreso dalla gente del posto – Costruito nel ’67, prende il nome Morandi dal costruttore. Una struttura in cemento armato, super trafficato con mezzi pesanti che passavano su delle strutture di sostegno esili, con delle bretelle aggiunte nel tempo. Come ci ha raccontato il gestore di un bar, c’erano sempre aree di manutenzione che continuavano da mesi, anche per la soletta viaria. Traumi su traumi sulle strutture del ponte che, nel corso degli anni, aveva dato segnali di criticità importanti. In questi giorni a Genova vivono un clima di terrore paragonabili a quello dell’11 settembre di diciassette anni negli Usa”.

“Si respira terrore in città, che si è fermata dalla mattina del 14 agosto, sulla quale permane l’angoscia per una tragedia prevedibile, che avrebbe potuto essere evitata”. Lisa e Stefano hanno vissuto così gli ultimi loro giorni a Genova. Ora stanno preparando i bagagli per fare rientro a Thiene : “Ma non sappiamo ancora che strada dobbiamo fare, non ci sono informazione sulla viabilità”. Due giovani thienesi che subito hanno risposto all’appello della Protezione Civile: “Siamo entrambi donatori Avis e subito abbiamo chiamato il numero messo a disposizione – concludono-  Il nostro pensiero era quello di aiutare, ma il popolo genovese si era già attivato, dimostrandosi generoso”.

Paola Viero

 

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