“Fino a tanto che avrete qualche cosa di vostro, e che il vostro livore contro il borghese non proverrà da altro che dal vostro rabbioso bisogno d’essere borghesi a vostra volta, non sarete degni mai della felicità”, lo scrisse Emile Zola in ‘Germinal’ nel 1885. Un romanzo in cui il suo protagonista Étienne Lantier si batte per la lotta contro la diseguaglianza operaia.

Non poteva mancare In punta di lingua il livore che, seppure risulti essere una parola poco usata nel lessico, si palesa ogni giorno.
Soprattutto nel web, col tsunami di livore che si schianta nei social. Tra astio maligno e risentimenti, la rete è diventata, purtroppo, il luogo dove ciascuno riesce a dare il peggio di sé, in un’abbondanza di moralizzatori che scadono nella rabbia e negli insulti.

Etimologia
La parola livore  fa la sua comparsa nel 1292, deriva dal latino livore, da livere ‘illividire’.  Da qua il suo significato: passione d’invidia, di rancore, che si manifesta con la cera giallognola del volto.
Nell’uso letterario antico livore era l’aspetto livido del volto di chi è tormentato dall’invidia.
Altri modi di dire, in maniera più o meno sostanziale:  astio, rancore, lividore.

Nel passato
A cavallo del XVIII secolo, scriveva così il filosofo italiano Baldassare Poli

L’invidia sempre vile e bassa, avversa alla giustizia e alla benevolenza è quella che sbandisce dall’animo ogni pace e tranquillità nel suo livore, che è capace del tradimento e della calunnia per opprimere ed abbassare il merito, che si espone giustamente all’odio ed all’esecrazione di tutti.

Nel suo epitaffio il poeta umanistico ungherese Janus Pannonius (1434-1472) volle

Qui giace Giano che per primo condusse dall’Elicona al Danubio le Muse. Siccome nella tomba non c’è posto per l’invidia, Livore, concedi al sepolto almeno quest’ultimo titolo di gloria.
Hic situs est Janus, patrium qui primus ad Histrum, | duxit laurigeras, ex Helicone Deas. | Hunc saltem titulum, Livor, permitte sepulto, | invidiae non est in monumenta locus.

Correva l’anno 1300 quando Dante Alighieri nella Divina Commedia scrisse nel settimo canto de Il Paradiso

La divina bontà, che da sé sperne /ogne livore, ardendo in sé, sfavilla /sì che dispiega le bellezze etterne
La bontà divina, che disprezza ogni odio, ardendo in se stessa splende in modo tale che emana le bellezze eterne.

Nell’arte
Nel quadro ‘Calunnia’ realizzato nel 1496 da Sandro Botticelli, esposto alla Galleria degli Uffizi a Firenze, è rappresentato il livore.
“Quest’opera di Botticelli è una citazione della calunnia di Apelle , un’opera di un antico artista, realizzato per rispondere all’infame calunnia di aver cospirato contro Tolomeo, mossa da un suo avversario. Botticelli la calunnia è un’opera la cui iconografia è molto complessa ed ogni protagonista ha un ruolo ben preciso. Per comprendere correttamente la calunnia botticelli è necessario leggerla da destra verso sinistra: sul trono si trova Re Mida, riconoscibile per le tradizionali orecchie d’asino, il quale rappresenta il giudice cattivo; le due donne che gli stanno sussurrando all’orecchio rappresentano Ignoranza e Sospetto. Re Mida sta tendendo la mano ad un uomo con un cappuccio nero davanti a lui, il quale, a sua volta, cerca di avvicinarsi al re: quest’ultimo rappresenta il livore; il livore significato odierno è rancore, e proprio quest’uomo con il cappuccio ed i vestiti rovinati, sta trattenendo per il braccio una ragazza, la quale rappresenta la Calunnia.

Tra gli altri personaggi che sono allegoria esempio ci sono poi le due ragazze che stanno acconciando i capelli alla Calunnia, e queste rappresentano Insidia e Frode. La ragazza che rappresenta la Calunnia sta trascinando per i capelli il Calunniato, il quale, con le mani giunte, sembra chiedere clemenza. La Calunnia, nell’altra mano ha una fiaccola, la quale però non fa luce: questa, infatti rappresenta la finta conoscenza, che è inutile. Scorrendo ancora più a sinistra il quadro c’è una donna anziana, con il volto coperto e rivolto verso un’altra ragazza, nuda: la vecchia rappresenta il Rimorso, mentre la donna nuda più a sinistra, indicando il cielo, allude alla Nuda Veritas, e con lo sguardo rivolto verso l’alto indica che è proprio il cielo colui che può dare la vera giustizia. Nella parte alta, a contornare tutta la scena, si trova un loggiato, composto da pilastri ed archi a tutto sesto; a rendere più ricca tutta l’architettura, ci sono anche delle nicchie, con all’interno delle grandi statue di protagonisti biblici e grandi personaggi dell’antichità classica. (Arteworld.it)
P.V.

 

 

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